Il 3 maggio si è celebrata la giornata la giornata mondiale della libertà di stampa, che ricorre ogni anno dal 1993, anno nel quale fu istituita dalle Nazioni Unite per promuovere uno dei principi fondamentali della democrazia e ricordare ai governi il loro dovere di sostenere e proteggere la libertà di parola, secondo quanto stabilito dall’Articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Per ribadirne l’importanza e fare il punto sullo stato di salute della libertà di stampa nel mondo, quest’anno, dal 2 al 4 maggio, il governo cileno in collaborazione con l’UNESCO, ospita a Santiago del Cile la 31ª Conferenza della Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, incentrata sul tema Journalism in the face of the Environmental Crisis. “La crisi climatica e della biodiversità non stanno solo influenzando l’ambiente e gli ecosistemi, ma anche la vita di miliardi di persone in tutto il mondo”, scrive UNESCO sulla pagina dedicata all’evento. “Le loro storie di sconvolgimento e perdita meritano di essere conosciute e condivise. Non sono sempre piacevoli da osservare. Possono anche essere disturbanti. Ma è solo conoscendo che l’azione diventa possibile. Esporre la crisi è il primo passo per risolverla”.
Obiettivo dell’evento è quello di mettere in luce il ruolo cruciale del giornalismo e della libertà di espressione nel raccontare le conseguenze della crisi ambientale a livello globale. Una professione, quella dei giornalisti, tanto importante quanto difficile e pericolosa. Come sottolineato dal report International Press Institute, infatti, in tutto il mondo si registra un aumento di intimidazioni, minacce, violenze e persino omicidi dei giornalisti che si occupano di tematiche ambientali ed è sempre più diffusa l’impunità per gli attacchi subiti. Spesso e volentieri questi professionisti dell’informazione sono vulnerabili anche sul piano legale, dato che le autorità e le aziende coinvolte in questioni ambientali sensibili a volte ostacolano il lavoro dei giornalisti, limitando l’accesso alle informazioni, intentando cause legali o ricorrendo a tattiche di intimidazione. “Ecco perché il ruolo dei giornalisti è cruciale”, continua UNESCO. “È attraverso il loro lavoro, il loro coraggio e la loro perseveranza che possiamo sapere cosa sta accadendo in tutto il pianeta. Lavorano in prima linea nella nostra lotta collettiva per la salute del nostro pianeta e per una vita vivibile. In questa Giornata Mondiale della Libertà di Stampa, riconosciamo e celebriamo il loro lavoro nell’aiutarci a plasmare un futuro migliore”.
Consapevole che il sostegno alla libertà di stampa passa anche dalle istituzioni, l’UNESCO, insieme al governo cileno, riunisce a Santiago del Cile alcune delle persone quotidianamente impegnate a raggiungere questo obiettivo grazie al loro lavoro in ambiti diversi, come il giornalismo, la politica, la conservazione ambientale e l’educazione. Molte di loro ricoprono ruoli in iniziative globali, contribuendo a movimenti per i diritti umani, la tutela ambientale e la lotta contro il cambiamento climatico. The Map Report, che partecipa all’evento in qualità di media supporter insieme a Citizen’s Platform, un’iniziativa editoriale indipendente supportata dall’UNESCO per contrastare la disinformazione sul cambiamento climatico, ha colto l’opportunità di intervistare alcuni protagonisti che animeranno la conferenza a Santiago del Cile. Tra di loro c’è il responsabile dell’unità Libertà di espressione e sicurezza dei giornalisti presso l’UNESCO, Guilherme Canela Godoi, che ci ha dato una panoramica della condizione della libertà di stampa nel mondo e ci ha svelato i dati di una survey condotta da UNESCO insieme a Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ).
Come sono cambiate la libertà e la sicurezza dei giornalisti a livello globale negli ultimi 50 anni? Direbbe che la libertà di espressione, a livello globale, è in declino o in miglioramento?
«È una domanda molto complessa perché la libertà di espressione, e la libertà di stampa in particolare, sono diritti che presentano diverse sfaccettature. Se esaminiamo i vari indicatori negli ultimi 30 anni, vale a dire il periodo per il quale abbiamo dati più accurati, ci rendiamo conto che alcuni indicatori mostrano un netto miglioramento, mentre altri rivelano una situazione più complessa, con più attacchi contro la libertà di espressione e di stampa. Questo suggerisce che non c’è una risposta univoca. Quello che possiamo dire è che negli ultimi anni c’è stato un aumento degli attacchi contro la libertà di espressione e di stampa. Mi riferisco, in particolare, agli attacchi online. Le molestie online contro i giornalisti, soprattutto contro le giornaliste, sono aumentate significativamente. È un dato che è molto peggiorato negli ultimi 5 anni».
Quali sono stati, invece, i passi in avanti?
«Guardando agli aspetti positivi, va detto che 30 anni fa meno di 15 paesi nel mondo avevano leggi sulla libertà di informazione. Oggi abbiamo quasi 140 paesi con questo tipo di leggi. In un periodo di 30 anni abbiamo quindi avuto un incremento di 120 paesi con questo tipo di legislazione, il che ha migliorato molto la qualità dell’espressione della libertà di stampa e dell’accesso alle informazioni. C’è anche una maggiore consapevolezza nella comunità internazionale sull’importanza della questione. Negli ultimi 10 anni, ad esempio, è stato approvato il piano d’azione delle Nazioni Unite sulla sicurezza dei giornalisti, una risoluzione importante in termini di protezione. Tuttavia, come ho detto, ci sono anche indicatori molto gravi che mostrano un deterioramento della libertà di stampa. Uno, che ho già menzionato, è quello relativo agli attacchi online. Un altro fenomeno in aumento è quello relativo agli abusi del sistema giudiziario per attaccare i giornalisti, come nel caso delle SLAPPs (Strategic lawsuits against public participation), azioni legali strategiche contro la partecipazione pubblica. Una altra tendenza da tenere sotto controllo è quella che mostra un incremento di attacchi contro i giornalisti mentre si occupano di documentare specifici eventi, come elezioni o proteste legate a temi ambientali. Quindi, in conclusione, ci sono alcuni trend positivi, ma anche negativi».
Quali sono i principali rischi per i giornalisti ambientali in tutto il mondo?
«Gli ultimi dati che abbiamo a disposizione provengono da uno studio dell’UNESCO che si compone di due elementi principali: il primo è un sondaggio realizzato in partenariato con la Federazione Internazionale dei Giornalisti, attraverso il quale abbiamo intervistato 900 giornalisti ambientali provenienti da 129 paesi. Si tratta della survey più completa sui rischi affrontati dai giornalisti ambientali in tutto il mondo. Dai risultati emerge che il 70% di questi giornalisti ha subito almeno un tipo di attacco a causa del proprio lavoro. Di questi, il 41% ha riportato attacchi fisici, il 60% molestie online. Queste ultime (vale la pena ribadirlo) sono state commesse soprattutto contro le giornaliste. Inoltre, un quarto dei giornalisti che dichiara di aver subito attacchi, ha subito attacchi legali. Per dare un’idea della complessità della situazione, il 75% dei giornalisti che hanno risposto di aver subito almeno un tipo di attacco riporta un qualche tipo di impatto sulla propria salute mentale. Inoltre, quasi la metà dei giornalisti ha confessato di aver deciso di auto-censurarsi per via degli attacchi.
Oltre al sondaggio condotto su 900 giornalisti ambientali provenienti da 129 paesi, c’è una seconda parte del report in cui analizziamo una serie di dati provenienti da tutto il mondo per comprendere meglio la violenza contro i giornalisti ambientali. La prima statistica importante e molto triste è che l’osservatorio UNESCO dei giornalisti uccisi ha registrato l’omicidio di 44 giornalisti ambientali negli ultimi 15 anni.
Ma il report ha anche identificato 749 giornalisti che sono stati attaccati in 89 paesi tra il 2009 e il 2023, in tutte le regioni del mondo, mentre si occupavano di fare informazione sui cambiamenti climatici, su estrazioni minerarie illegali, deforestazione, industrie dei combustibili fossili o su progetti di agricoltura, mega-infrastrutture, ecc…Un altro dato che emerge con evidenza è che questi attacchi sono aumentati negli ultimi 5 anni, segnando un aumento del 42%».
Negli ultimi due anni, ha coordinato programmi significativi per combattere la disinformazione e le minacce alla democrazia. Quali sono stati i risultati più significativi di iniziative come #coronavirusfacts e Social Media for Peace?
«Per quanto riguarda il #coronavirusfacts, uno dei risultati principali è stato il reale coinvolgimento di giornalisti, ma anche comunicatori attivi sui social media come influencer e community, nel diffondere informazioni sui vaccini e la pandemia in un modo che contrastasse il livello assurdo di disinformazione. Il progetto ha coinvolto 35.000 comunicatori da 160 paesi. Questi comunicatori sono stati assolutamente essenziali per smentire e per spiegare ulteriormente ai loro pubblici elementi importanti riguardo a ciò che stava accadendo durante la pandemia.
Per quanto riguarda la campagna Social Media for Peace e Internet for Trust, direi che il risultato principale è stato l’impegno multistakeholder. Il processo è stato facilitato dall’UNESCO e ci ha consentito di riuscire a trovare dei modi in cui le aziende di social media, la società civile e le organizzazioni, i giornalisti, gli accademici e i governi possano cooperare. È stato possibile trovare le soluzioni migliori per trattare le teorie del complotto ed è stato dimostrato che il modo più efficace per affrontare questi problemi è un modo che incorpora tutti gli attori rilevanti e non un solo tipo di organizzazione».