Tutto posticipato di altri due anni: i negoziati della COP16 sulla lotta alla desertificazione si sono conclusi senza un accordo definitivo, lasciando irrisolta la possibilità di un protocollo vincolante contro la siccità. La conferenza delle Nazioni Unite, che ha riunito 196 Paesi e l’Unione Europea a Riyadh, in Arabia Saudita, è andata avanti fino alle prime ore di sabato scorso, concludendosi con un giorno di ritardo e senza il risultato sperato.
«Le parti hanno bisogno di più tempo per concordare il modo migliore di procedere», ha dichiarato il segretario esecutivo della Convenzione ONU per la lotta alla desertificazione (UNCCD), Ibrahim Thiaw, evidenziando l’incapacità dei negoziatori di superare le divergenze. «Speravamo in una decisione coraggiosa, capace di invertire la tendenza del più diffuso e dirompente disastro ambientale: la siccità», ha aggiunto. Secondo quanto dichiarato dallo stesso Thiaw lo scorso 17 giugno, in occasione della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità «fino al 40% del territorio mondiale è già degradato, colpendo quasi la metà dell’umanità».
«Eppure – aveva ribadito in quell’occasione il segretario – le soluzioni sono sul tavolo. Il ripristino del territorio fa uscire le persone dalla povertà e rafforza la resilienza ai cambiamenti climatici. È tempo di unirsi per la terra e mostrare il cartellino rosso alla perdita e al degrado della terra in tutto il mondo».
As we close this historic 16th Session of the Conference of the Parties to the @UNCCD, I am filled with immense gratitude. Together, we’ve set a new standard for ambition and collaboration.
— Ibrahim Thiaw (@ibrahimthiaw) December 14, 2024
From the arid landscapes of my childhood to this moment, my journey has been guided by… pic.twitter.com/1xLWlXkjfd
Nonostante il fallimento di un accordo formale, i Paesi hanno compiuto alcuni passi avanti, ponendo “le basi per un futuro regime globale di lotta alla siccità”, si legge nel comunicato finale della conferenza. L’intento è completare questo lavoro alla COP17, che si terrà in Mongolia nel 2026.
Il principale punto di scontro ha riguardato la proposta di un protocollo vincolante contro la siccità, sostenuto con forza dai Paesi africani. «È la prima volta che vedo l’Africa così unita, con un forte fronte comune, sul protocollo sulla siccità», ha dichiarato un delegato africano, chiedendo l’anonimato. La richiesta dei governi africani puntava su obblighi chiari per sviluppare piani di prevenzione e gestione della siccità, ma si è scontrata con l’opposizione dei Paesi sviluppati, che hanno invece proposto un semplice “quadro” di riferimento, considerato inadeguato dai sostenitori di misure più stringenti.
Anche i rappresentanti delle comunità indigene e ambientaliste hanno sollecitato un accordo più ambizioso. Praveena Sridhar, direttore scientifico della campagna globale Save Soil Movement, ha dichiarato che un protocollo avrebbe favorito «un migliore monitoraggio, sistemi di allerta precoce e piani di risposta appropriati». Pur riconoscendo la delusione per la mancanza di un’intesa, Sridhar ha ribadito che «l’assenza di un accordo non deve ritardare i progressi». Ha invitato i governi ad agire comunque, stanziando «bilanci e sussidi per promuovere una gestione sostenibile del suolo e della terra».
La siccità è ormai una minaccia globale di proporzioni catastrofiche. Alimentata dalla distruzione dell’ambiente causata dall’uomo, secondo le Nazioni Unite, costa oltre 300 miliardi di dollari all’anno e, se non si interverrà in modo deciso, entro il 2050 colpirà il 75% della popolazione mondiale.
L’UNCCD aveva lanciato l’allarme alla vigilia dei negoziati, stimando che per ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terra entro la fine del decennio servano investimenti globali pari ad almeno 2,6 trilioni di dollari. Durante la COP16, sono stati annunciati impegni per oltre 12 miliardi di dollari, provenienti in particolare dal Gruppo di coordinamento arabo e dal Partenariato globale di Riyadh per la resilienza alla siccità, che – attraverso progetti di cooperazione e sviluppo – punta a mobilitare risorse pubbliche e private per sostenere i Paesi più vulnerabili.
La COP16 di Riyadh si è svolta in un contesto già segnato da altri insuccessi nelle recenti conferenze internazionali: dal fallimento di un accordo sulla biodiversità in Colombia, alle difficoltà sui negoziati sull’inquinamento da plastica in Corea del Sud, fino agli scarsi risultati sul finanziamento climatico alla COP29 di Baku.
Questo nuovo stallo aggrava ulteriormente il quadro globale. Mentre le temperature aumentano e la siccità si intensifica, il mondo resta fermo su misure decisive per mitigare l’impatto di una crisi che non risparmia nessuna regione del pianeta. La speranza è ora riposta nella COP17 del 2026, dove si auspica un compromesso in grado di trasformare le promesse in azioni concrete.
«Uno sforzo globale più ambizioso è ormai improrogabile», ha ammonito Ibrahim Thiaw, ricordando che ogni ritardo non fa che aggravare le conseguenze umane, ambientali ed economiche di una delle più grandi emergenze del nostro tempo.