Finché siamo giovani e sani ci abituiamo a trascurare i segnali del corpo, le stanchezze, gli allarmi; portiamo il corpo allo stremo, convinti che quella macchina perfetta che è il nostro corpo sano possa seguirci in ogni più piccola o grande avventura. È la malattia che rompendo quell’equilibrio perfetto, ci costringe a cambiare stile di vita e a prenderci cura di tutti i (dis)equilibri che hanno fatto parte della nostra esistenza. In modo simile possiamo dire che anche le città sono malate e, oltre ad essere le principali responsabili della crisi climatica, ne subiscono gli impatti in modo sempre più intenso: ondate di calore, periodi di siccità, improvvise alluvioni. Di questa malattia che è la crisi climatica con i suoi impatti spiazzanti e sempre più frequenti nelle nostre vite, sappiamo ormai praticamente tutto: gli scienziati hanno da tempo fornito anche al grande pubblico le cause, i numeri, i dati, i dettagli, persino i possibili rimedi. L’emergenza suscitata dal clima e dal malessere del nostro pianeta sta generando uno sforzo di conoscenza senza precedenti, che sta mobilitando le scienze e i saperi, le università e le agenzie che producono dati.
Questo mare di informazioni ci consente oggi di muoverci su un duplice livello; siamo in grado di osservare il cambiamento climatico a scala sovralocale, monitorando i grandi mutamenti che attraversano il pianeta e cogliendo le relazioni tra fenomeni lontani, ma siamo anche in grado di valutare l’impatto della crisi alla microscala, prestando attenzione a come gli ecosistemi urbani reagiscono e si adattano (o non si adattano).
La ricchezza di dati e informazioni, la solidità degli indirizzi e delle soluzioni da adottare richiede ora una rinnovata capacità di tradurre tutto questo in strategie, piani e azioni locali.
La crisi climatica alla scala locale
È quest’ultima la scala che riporta la questione climatica più vicina alla nostra responsabilità collettiva di cittadini; è alla scala urbana e micro-urbana che le amministrazioni e le comunità locali possono giocare la loro partita. Perché se è vero che il clima dipende da scelte globali, legate alle grandi scelte nazionali ed economiche, è altrettanto vero che le scelte politiche locali possono fare molto.
Questa grande quantità di informazioni richiede contesti capaci di interpretare i dati e trasformarli in azioni locali. Per questa ragione ritengo che ogni pratica di pianificazione del territorio, di gestione e di governo, ogni normativa e ogni regolamento, ogni politica locale debba misurarsi oggi, in via preliminare, con la questione climatica.
Possiamo ancora fare previsioni di Piano senza prevedere l’impatto del clima sulle comunità? Possiamo definire criteri di densificazione edilizia senza fare i conti con la mappa delle isole urbane di calore? Possiamo trascurare le aree verdi e naturali, le risorse idriche, il valore dei suoli se abbiamo compreso che l’unico rimedio e contrasto all’aumento delle temperature e ai rischi idraulici dipende da un corretto uso della natura?
Basta osservare gli orientamenti delle più grandi città europee per comprendere come oggi quella famiglia di strumenti che possiamo definire “Piano-Clima” (dalla Roadmap Amsterdam Climate Neutral 2050, redatta dall’amministrazione di Amsterdam, al Climate Plan 2018-2030 di Barcellona, al Vienna Climate Guide. Towards a climate-friendly city di Vienna) costituisca l’essenza stessa di una nuova pianificazione a scala amministrativa e locale.
Se guardiamo all’Italia non possiamo non registrare un certo ritardo nell’adozione di strumenti adeguati ed una risposta disomogenea da parte degli enti locali.
Almeno sulla carta, si sono dotate di un Piano per il Clima alcune delle più grandi città (tra cui Milano e Roma), alcune città medie (tra cui Bologna, Bergamo e Brescia) e alcuni comuni più piccoli (ad esempio Seregno). Ma la gran parte delle amministrazioni italiane non ha ancora maturato la consapevolezza e l’urgenza intorno a questo tema (talvolta mancano anche piani del verde, piani del rischio idraulico, piani sismici, tanto per citare alcune delle criticità più ricorrenti).
A livello nazionale, nel gennaio 2023, il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha pubblicato per la prima volta sotto la voce Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici un allegato che fornisce indirizzi utili alla redazione e alla adozione di questo tipo di piano da parte delle amministrazioni locali (ALLEGATO II Metodologie per la definizione di strategie e piani locali di adattamento ai cambiamenti climatici).
In questo documento si riconosce – con fin troppa chiarezza – la potenziale difficoltà delle amministrazioni locali nel disporre risorse economiche e conoscenze adeguate allo scopo: “le autorità locali potrebbero aver bisogno di una formazione aggiuntiva per il personale e di maggiori risorse finanziarie per organizzare e dare corso alle iniziative o potrebbero essere preoccupate per un insufficiente supporto da parte della leadership politica delle città, così come per la mancanza di dati e modelli climatici di qualità su cui basare valutazioni e stime attendibili dei costi e degli impatti delle azioni comunali. Più in generale, possono verificarsi problemi di scarsa comunicazione e collaborazione tra le diverse scale e settori della PA locale, specie nel caso in cui i livelli di responsabilità non siano chiaramente definiti e i vincoli finanziari limitino la possibilità di intraprendere azioni di coordinamento efficaci”.
Per questo il documento che integra quello dedicato alle Regioni vuole “fornire metodologie operative volte a indirizzare il processo per progettare, attuare e monitorare azioni e criteri di adattamento nelle politiche e negli strumenti di pianificazione regionale e locale”.
Si indicano gli obiettivi che dovrebbe rispettare un piano clima a scala locale: 1. darsi principi per assorbire stress e rafforzare la reazione ai danni attuali e previsti (resilienza climatica); 2. indirizzi per lo sviluppo sostenibile e traiettorie socio-ecologiche per rafforzare e migliorare lo stato degli ecosistemi coinvolti e garantire la fornitura dei servizi che essi producono; 3. predisporre azioni per diminuire i rischi futuri ed evitare perdite durature di qualità urbana e ambientale nei contesti di vita locali. E soprattutto si sottolinea, dettaglio che mi pare molto saggio, la necessità di considerare la grande varietà delle situazioni locali e territoriali, che richiede di “utilizzare una diversa combinazione di strategie in base ai tipi di rischio, ai valori del contesto e alla sensibilità e alla capacità organizzativa delle istituzioni e più generale del territorio”.
Si apre dunque uno spazio di progettazione, di analisi, di costruzione dei contenuti che lascia ampio spazio di azione alle comunità locali. Una libertà che vale la pena giocarsi con responsabilità e immaginazione.
Il Piano dei Piani
Nel mio lavoro di accompagnamento urbanistico a sindaci e amministratori sui temi ambientali mi sono convinta che dotarsi di un Piano Clima sia oggi il modo più intelligente di trasformare un’emergenza in una possibilità di miglioramento della vita dei cittadini. La predisposizione e l’avvio del Piano Clima di Seregno, portata avanti sotto la spinta del sindaco Alberto Rossi e della sua giunta, è stata una vera e propria palestra di apprendimento dove ripensare il senso e le modalità di fare urbanistica o meglio Climate Urbanism. Se non partiamo dal clima, dalla salute dei cittadini, dall’esposizione ai rischi crescenti, come possiamo disegnare correttamente le altre politiche pubbliche?
Il Piano Clima dovrebbe diventare il piano che viene prima di tutti gli altri piani. Ogni scelta pubblica oggi dovrebbe passare sotto la lente del cambiamento climatico. Se interpretato correttamente, come momento di condivisione delle informazioni, di elaborazione di strategie locali, di scelte e di azioni pubbliche e private, di mobilitazione dei cittadini, il Piano Clima potrebbe diventare lo strumento che precede e informa tutta la pianificazione ordinaria (dal Piano di governo del territorio al piano del verde, della mobilità, del commercio, ecc.), orienta le scelte di sviluppo e tutela l’ambiente naturale. E proprio perché elaborare un piano climatico è ancora lasciato alla libera iniziativa delle singole amministrazioni, questo può diventare un campo di sperimentazione di straordinaria rilevanza empirica.
Il Piano Clima è un piano, ma non è (solo) un piano: è un programma che contiene dati, informazioni, carte del rischio, proiezioni, prescrizioni di piani tematici; ma è anche uno strumento di informazione e di sensibilizzazione delle comunità di come il clima abbia impatti su tutti ma non impatti su tutti alla stessa maniera. È il luogo delle scelte e delle priorità in campo ambientale, dove indicare gli impegni che si intendono prendere e i tempi di realizzazione. È lo strumento che riflette sulle possibili soluzioni attingendo al grande campionario delle nature-based solution ma le riadatta e reinterpreta alla luce delle specificità dei singoli contesti.
Il Piano Clima è un piano che diventa un piano solo se molti partecipano. Non può restare un piano sulla carta. L’adattamento alla crisi climatica richiede un grande sforzo corale che coinvolga la politica ma anche l’economia e la società civile. Da tempo abbiamo compreso che la crisi climatica è questione troppo importante per essere lasciata ai soli climatologi; non può più essere delegata solo agli esperti e ai summit internazionali ma sollecita una mobilitazione collettiva, di cittadini e imprese, università e centri di ricerca, esperti e associazioni ambientaliste e di volontariato.
Yimbi (Yes in my backyard): il piano a partire dal mio giardino
Per metterci in sintonia con la natura e per ricomporre la frattura tra natura e città dobbiamo metterci seriamente “alla scuola della natura” per comprendere come possiamo adattarci al cambiamento, resistere, reagire, persino trasformare la crisi climatica in un’occasione concreta per migliorare i nostri ambienti di vita. La crisi ci sfida nei luoghi dove le persone vivono, ci chiede di reintrodurre alberi e suoli liberi dove li abbiamo persi, di provare a ripensare la struttura stessa delle città. E per fare questo è fondamentale coinvolgere le persone, ribaltando la logica Nimby in Yimbi (Yes in my backyard); quello che ciascuno può fare nel suo giardino è importante: piantare alberi, togliere asfalto, produrre energia pulita, ridurre i consumi. L’adattamento alla crisi climatica richiede un grande sforzo corale che coinvolga tutti i cittadini. Adattare i sistemi urbani al rischio, creare zone cuscinetto, contrastare le isole di calore nelle città si può fare solo se adottiamo una “logica vegetale” (è questo lo spirito delle cosiddette nature-based solution): alla forza della natura si può rispondere solo con la natura. Nell’immaginario collettivo natura e paesaggio hanno soprattutto un risvolto estetico, bellezze da ammirare aprendo le finestre di casa. Ma qualcosa sta cambiando. Alberi, verde pensile, aiuole, parchi, stagni o laghi, ma anche strade sterrate, sabbia e altre superfici permeabili in grado di assorbire velocemente l’acqua e rallentare il deflusso superficiale, assolvono certamente ad una funzione ecosistemica e aiutano a contrastare gli effetti della crisi climatica sulle città ma al contempo possono alimentare una nuova idea di pianificazione urbana.