Le competenze cognitive degli adulti in Italia sono rimaste stabili tra il 2012 e il 2023, ma è un dato tutt’altro che incoraggiante. Il nostro Paese, infatti, continua a registrare livelli significativamente inferiori rispetto alla media OCSE, con lacune particolarmente gravi in literacy (comprensione di testi), numeracy (capacità numeriche) e problem solving (risoluzione di problemi complessi).
Lo rivela l’Indagine sulle competenze degli adulti (Survey of Adult Skills), condotta dall’INAPP per il ministero del Lavoro nell’ambito del programma OCSE-Piaac.
Secondo l’analisi, un adulto su tre, tra i 16 e i 65 anni, presenta competenze insufficienti in almeno uno dei domini analizzati, una situazione che incide negativamente sul mercato del lavoro e sullo sviluppo sociale. Il dato è aggravato dal fatto che il 40% degli italiani lavora in settori non coerenti con il proprio percorso di studi e che il 18% è sottoqualificato per il lavoro svolto.
«È evidente la stretta relazione tra competenze cognitive e sviluppo del Paese», sottolinea Natale Forlani, presidente dell’INAPP. «I valori più bassi di competenze si concentrano nelle aree meno attrattive del Paese. Occorre investire per il recupero dei territori del Mezzogiorno».
I divari territoriali e demografici
L’indagine mette in luce ampie disuguaglianze interne. C’è un divario territoriale: il Nord e il Centro Italia raggiungono livelli vicini alla media OCSE, mentre il Mezzogiorno resta significativamente indietro, anche rispetto alla media italiana.
Si registra anche un’evidente disuguaglianza generazionale: i giovani tra 16 e 24 anni ottengono i punteggi migliori, ma le competenze iniziano a declinare già dopo i 24 anni, complici le scarse opportunità di formazione continua. Gli adulti tra i 55 e i 65 anni mostrano i risultati peggiori.
Ci sono anche differenze di genere: nelle competenze numeriche, le donne restano indietro rispetto agli uomini, evidenziando un problema persistente di equità.
Il confronto con gli altri Paesi
L’Italia si colloca al di sotto della media OCSE, superata da Paesi come Spagna, Francia, Germania e Stati Uniti. Il dato più critico riguarda il problem solving, in cui quasi la metà degli italiani risulta insufficiente, posizionandosi persino dietro al Portogallo.
Il valore dei titoli di studio italiani appare ridimensionato rispetto agli standard internazionali. Un laureato italiano supera un diplomato di soli 19 punti in literacy, contro i 33 punti della media OCSE.
L’unica nota positiva
Gli immigrati di seconda generazione e i nuovi cittadini italiani mostrano competenze in linea con quelle degli italiani nativi, suggerendo un potenziale miglioramento nel tempo attraverso l’inclusione e l’integrazione.
L’analfabetismo funzionale in Italia rimane quindi a livelli molto alti. Stando alle indicazioni che scaturiscono dal rapporto OCSE-Piaac, il nostro Paese dovrebbe investire nella formazione continua, colmare i divari territoriali e promuovere politiche per l’istruzione di qualità. Senza un’azione mirata, il rischio di aggravare ulteriormente il divario con gli altri Paesi, con conseguenze dirette sulla competitività economica e sulla coesione sociale del Paese, rimane molto alto.