“Sosteniamo i founder fortemente impegnati a risolvere problemi rilevanti ma ancora irrisolti che riguardano le persone e il pianeta”. Recita così la pagina digitale di benvenuto di Moonstone, una sigla da immaginario spaziale dietro cui, al contrario, si cela un progetto decisamente “terrestre” e dal DNA molto giovane. Avviata lo scorso anno da due ambiziosi under 30, Moonstone è infatti una startup di venture capital che aiuta altre startup a crescere, dando loro la spinta economica (e non solo) necessaria per presentarsi con maggiore forza e solidità al tavolo di altri potenziali investitori. I titolari del fondo sono Jacopo Mele (tra i 30 Forbes under 30 europei nel 2016) e Chiara Castelli, entrambi reduci dall’esperienza in Aurora Fellows, “project for impact” che mira a dare la possibilità agli under 25 di mettersi in gioco e sviluppare competenze trasversali, spronando a tirare fuori la propria creatività, lo spirito di iniziativa e l’imprenditorialità.
«In Moonstone», spiegano i due founder, «abbiamo una convinzione profonda: il potenziale di ogni individuo può essere sfruttato per catalizzare cambiamenti positivi nel nostro ecosistema. La nostra missione è ampia, ambiziosa e radicata nella consapevolezza che un futuro sostenibile richiede uno sforzo collettivo per riparare i danni che abbiamo causato come società».
Quanto c’è di concreto dietro un proclama così impegnativo che prevede, fra gli altri, investimenti in almeno 60 startup nell’arco di un paio d’anni? A raccontarcelo sono l’anima e il cervello femminili di Moonstone, Chiara Castelli, ripercorrendo anche i passaggi chiave della sua personale, per quanto ancora breve, storia professionale.
Quali studi e quali esperienze hanno preceduto il tuo esordio come co-founder e Investment Manager di Moonstone?
«Dopo aver conseguito una laurea in mediazione linguistica e interculturale presso l’Università degli Studi di Milano, e poi un master in Corporate Advisory presso l’Università Cattolica, ho iniziato la mia carriera in una boutique di consulenza strategica per le PMI, con l’obiettivo di affiancare il top management nella creazione di vantaggio competitivo.
Guidata dalla missione di scoprire e sostenere i talenti più brillanti e ambiziosi, nel 2020 ho co-fondato Aurora Fellows, un progetto europeo no-profit dedicato a giovani under 25, che sprona le nuove generazioni ad allenarsi per vivere a proprio agio con l’incertezza, e diventare così i game-changer del ventunesimo secolo. Nel 2023, anche grazie agli stimoli raccolti dall’esperienza di Aurora Fellows, ho co-fondato Moonstone, con l’intenzione di promuovere l’innovazione e il cambiamento, sostenendo startup emergenti e talenti visionari, dedicati ad affrontare le sfide più significative e irrisolte del nostro futuro».
Esiste un problema di gender nel settore in cui lavori? È stato difficile per te ritagliarti lo spazio che desideravi?
«È innegabile che nel settore del venture capital ci sia ancora un significativo problema di gender gap, ed è indubbiamente un ambiente popolato prevalentemente da figure maschili. Basti pensare che a livello globale, solo una piccola percentuale dei VC partner sono donne, e la disparità si riflette anche nei finanziamenti che ricevono le startup fondate da donne.
Certamente essere una giovane donna può portare a sfide uniche in questo ambiente, ma ho scelto di vedere questa diversità rispetto al benchmark come un punto di forza, e di circondarmi di un network bilanciato di professionisti, sia donne che uomini.
Questo mi ha permesso di vivere forse in una sorta di “bolla” più equilibrata rispetto allo standard del settore, che in Italia è particolarmente sbilanciato verso una leadership maschile, e mi ha dato una prospettiva più inclusiva e diversificata. La mia esperienza nel supportare giovani talenti con Aurora Fellows mi ha poi insegnato a valorizzare prospettive diverse e ad ambire a generare un cambiamento, e con Moonstone la mia intenzione è quella di contribuire ad un ambiente più inclusivo, investendo in startup con team diversificati e promuovendo l’innovazione senza barriere di genere. Personalmente, sono convinta che, col tempo, sempre più donne troveranno spazio nel venture capital e nel mondo startup, e non solo come eccezioni, ma come parte integrante di un cambiamento sistemico».
Quali i requisiti imprescindibili che devono avere le startup che selezionate?
«Per Moonstone l’elemento di valutazione più importante è l’energia dei founder: cerchiamo imprenditori che si svegliano la notte pensando a come risolvere il problema a cui stanno lavorando con la loro startup. Quanto è importante per il founder risolvere quel problema, è indice di quanta grinta impiegherà per portare a termine la sua missione. Certamente è altrettanto importante avere il team giusto per farlo, e quindi non basta l’energia di un founder, ma quella di un team con competenze complementari e che si muove in sintonia. Prodotto, mercato, competizione, proposizione e vantaggio competitivo, sono certamente altri elementi oggetto di analisi e valutazione, che per ogni venture assumono metriche diverse ma, per la fase in cui investiamo, spesso l’analisi qualitativa prevale su quella quantitativa».
Startup che intendono rispondere alle grandi sfide del nostro futuro e che stanno lavorando ai più grandi problemi irrisolti dei prossimi decenni: ci spieghi meglio? Immagino che “sostenibilità” e “innovazione” siano due elementi-chiave che guidano il vostro criterio di scelta…
«Quando abbiamo lavorato alla nostra tesi di investimento, ci siamo chiesti quale fosse per noi l’obiettivo da raggiungere attraverso Moonstone, e ci siamo trovati totalmente allineati rispetto all’intenzione di prendere parte a iniziative che avessero l’ambizione di cambiare il mondo, generando un impatto positivo per la salute del pianeta e dell’uomo. Un ambito che si avvicina molto a questo concetto, è quello della “Planetary Health”, che studia gli effetti dell’attività dell’uomo, sia sulla salute del pianeta che dell’essere umano. Ci piace pensare di poter contribuire alle sfide e problematiche più urgenti che dovremo affrontare nei prossimi decenni, e ci entusiasma andare alla ricerca di startup che abbiano questa missione. Certamente cerchiamo soluzioni innovative, totalmente dirompenti e capaci di dare forma a soluzioni che garantiscano un ritorno finanziario ma anche e soprattutto ritorni in termini di sostenibilità».
Come avete acquisito le competenze necessarie per riuscire a individuare, specie fra i founder che intendono sviluppare progetti tecnologicamente avanzati, quelli davvero più interessanti e col maggiore potenziale?
«Nel nostro processo di valutazione siamo costantemente supportati dal nostro network, abbiamo decine di professionisti che affiancano Moonstone, alcuni dal giorno zero ed altri unitisi in corsa, e che sono appassionati di innovazione e tecnologia. Poter accedere ad un bacino di esperienze e competenze tecniche totalmente differenti è per noi una risorsa preziosissima, che entra in campo soprattutto quando occorre analizzare progetti molto verticali su specifiche tecnologie. Oltre che con il network professionale di Moonstone, collaboriamo molto con altri VC, acceleratori e incubatori, a livello globale, con cui ci confrontiamo regolarmente su trend tecnologici e di settore, oltre che su specifici progetti.
Al di là della valutazione tecnica della startup c’è poi la componente umana, che forse è la più importante, e per questo è stata fondamentale l’esperienza vissuta con il progetto Aurora, volto ad allenare le attitudini imprenditoriali di giovani under 25, che ci ha permesso di osservare e affiancare decine di ragazzi ambiziosi e individuare così alcuni pattern tipici del founder: certamente la grinta è un elemento che non può mai mancare».
Quanto tempo dura mediamente il processo di selezione e perché lo definite “founder-friendly”?
«La nostra strategia di investimento ci permette di essere piuttosto rapidi nel finalizzare la nostra decisione: siamo sempre follower e affianchiamo lead investor internazionali con expertise verticale nel settore di riferimento della startup in cui vogliamo investire, e inoltre siamo supportati dalle competenze tecniche del nostro network, che ci affianca evidenziando punti di forza e criticità dei progetti in valutazione. Quando ogni elemento analizzato rispetta i nostri criteri di investimento, questo approccio ci permette di prendere una decisione entro un paio di settimane che, per lo standard del mondo VC, è effettivamente una tempistica piuttosto ridotta».
Selezionata la startup, scatta la delicata fase di affiancamento. Come si svolge e quanto dura questa fase? Come la gestite, che approccio adottate, che tipo di intervento portate avanti?
«Definirei il nostro approccio “hands-on on demand”, sappiamo che i founder sono sempre molto impegnati nel dare forma alla loro visione e sappiamo che hanno tutti gli strumenti per farlo meglio di noi (altrimenti avremmo fondato noi la startup!), per questo non vogliamo interferire con le loro attività quotidiane o indirizzare dall’alto la loro strategia. Detto questo, siamo sempre a disposizione per ogni consiglio strategico, per creare connessioni con il nostro network, o anche semplicemente per una chiacchierata che possa essere utile ai founder per superare le sfide o complessità del momento.
Per essere sempre pronti ad intervenire in modo efficiente, teniamo traccia delle sfide che le startup stanno affrontando e che pensano di dover affrontare nei 3 mesi successivi, e ci impegniamo in modo proattivo mettendo in gioco risorse e competenze del team di Moonstone e del network di professionisti che gravitano attorno a Moonstone, affinché le startup possano avere ulteriori strumenti per raggiungere i loro obiettivi».
Quanto e come incide l’essere voi stessi una startup nel rapporto con le startup su cui investite?
«Noi siamo dei peer per i founder con cui collaboriamo, abbiamo lo stesso DNA dei founder in cui investiamo, ci alleniamo per saper affrontare l’incertezza e per essere flessibili e adattarci rapidamente ad ogni cambiamento, proprio come fanno i founder delle startup tecnologiche con cui lavoriamo.
Essere noi, in primis, una startup ci rende consapevoli dell’importanza di avere dei buoni compagni di viaggio, ed è per questo che ci impegniamo ad essere pronti ad offrire un supporto quando sono affaticati e a celebrare di volta in volta i successi raggiunti».
Oltre al sostegno economico necessario alla propria crescita e sviluppo, il founder supportato da Moonstone ha anche la possibilità di interagire con le altre realtà del vostro network? Vi è capitato di registrare la nascita di sinergie virtuose?
«La nostra missione è proprio quella di connettere le startup e i relativi founder tra di loro. Ci sono evidenti sinergie che possono nascere tra alcune realtà del nostro portafoglio, perché operano nello stesso settore, o perché hanno vissuto sfide simili nello sviluppo del loro business e crediamo che connettere i founder tra loro possa portare un valore tangibile per i founder. A volte una chiacchierata con chi ha affrontato e superato quella stessa sfida, qualche mese prima di te, porta più valore di qualsiasi lezione teorica».
Siete partiti lo scorso anno con l’obiettivo di investire in almeno 60 startup entro due anni. A che punto siete? Ci fai un breve bilancio e ci dai una piccola anticipazione sui progetti e i propositi per i prossimi mesi e per il 2025?
«Oggi siamo arrivati a 42 startup, distribuite principalmente tra Europa e US, quindi una ventina di nuovi progetti ci separano dall’obiettivo di quest’anno. Abbiamo una dozzina di startup nel nostro radar, che è sempre focalizzato soprattutto su startup nel mondo ClimateTech e Healthcare, impegnate a sviluppare tecnologie “disruptive” in grado di sconvolgere il proprio settore di riferimento, e speriamo di raccogliere tutti gli elementi per poter finalizzare alcuni nuovi commitment nei prossimi mesi. I propositi per il prossimo biennio 2025-26 vanno in continuità rispetto a quanto fatto finora, con la missione di duplicare il numero di startup in portafoglio arrivando a circa un centinaio di progetti, e continuando ad alzare l’asticella rispetto alla loro qualità e alla diversificazione».