“È inequivocabilmente giunto il momento di concepire e applicare nuovi paradigmi alle nostre attività, il momento di riconciliarci con la Terra senza rinnegare o rinunciare al piacere, al benessere e a un’estetica che non perde nulla se aderisce a principi etici”. Undici anni fa scriveva così Carlo Petrini nella sua breve introduzione a L’impresa moda responsabile, il libro di Francesca Romana Rinaldi e Salvo Testa recentemente ripubblicato da Egea in una nuova edizione. Il Fondatore di Slow Food parla come sempre di cibo, ma in questo caso lo fa per ricordarci che il nostro rapporto con la Natura e i suoi equilibri non passa solo dal settore alimentare ma coinvolge altri comparti produttivi, “i quali si trovano anch’essi di fronte a crisi strutturali dovute al non aver rispettato certi limiti, basando il proprio agire sull’assunto che la crescita potesse essere infinita”.
Ne è profondamente convinta anche la co-autrice di quel libro, Francesca Romana Rinaldi, che insegna fashion management all’Università Bocconi e SDA Bocconi School of Management dove dirige il Monitor for Circular Fashion del Sustainability Lab SDA Bocconi.
Da anni Rinaldi studia l’industria della moda e l’evoluzione delle catene del valore sostenibili e la trasformazione verso i modelli circolari.
«Nell’era della “modernità liquida” cambiano i paradigmi del consumo e i modelli di business, trasformazioni accelerate fortemente dall’impatto della pandemia sulle catene del valore», esordisce Rinaldi per sintetizzare il concetto di moda sostenibile. «Questa rivoluzione», racconta a The Map Report, «riguarda anche il settore moda, sia nelle dinamiche di produzione e distribuzione sia nell’atteggiamento del consumatore, sempre più attento all’acquisto responsabile, rispettoso dell’ambiente e della sostenibilità – economica, ecologica ed etica – della filiera».
Nel saggio L’impresa moda responsabile non manca di rimarcare le caratteristiche che un’impresa moda responsabile deve rispettare per essere considerata tale: «mettere al centro l’equilibrio tra riduzione dell’impatto ambientale, controllo della catena di fornitura, rispetto verso i consumatori garantendo una qualità che non metta a repentaglio la loro salute, rispetto verso i collaboratori tramite la creazione di programmi di benessere aziendale, diversità ed inclusione, creazione di uno stretto legame con il territorio, le arti figurative, la cultura e i media».
Perché «la moda è, a tutti gli effetti, un’industria culturale le cui caratteristiche impongono la definizione di un modello manageriale altamente specifico, che garantisca un equilibrio economico di lungo termine, fondato sull’equilibrio con tutti gli attori in gioco».
IL TESSILE SOSTENIBILE E CIRCOLARE
L’impresa moda responsabile contiene anche dati sulle normative di recente approvazione in vigore nella legislazione europea e un focus sulla tracciabilità, la trasparenza e la circolarità dei processi produttivi, distributivi e di consumo. «La circolarità», spiega Rinaldi, «si pone l’obiettivo di ridurre al minimo la generazione di rifiuti in tutte le attività della catena del valore ed estendere la vita delle risorse. Il 30 marzo 2022 la Commissione Europea ha presentato, tra il pacchetto di proposte sul Green Deal finalizzate a rendere i prodotti sostenibili, l’attesa “Strategia per i prodotti tessili sostenibili e circolari” con l’obiettivo di rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili, volta ad affrontare importanti sfide per il settore moda quali il fast fashion, i rifiuti e la distruzione dei tessili invenduti e a garantire che la loro produzione avvenga nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori. Con la strategia per il tessile sostenibile e circolare la Commissione si è espressa sull’importanza di mantenere le risorse il più possibile all’interno del settore, partendo dal riuso (seconda mano) per arrivare al riciclo da fibra a fibra. Sappiamo che l’ultima opzione non è sempre possibile: ci sono ancora delle sfide tecnologiche da affrontare».
Ma in concreto, cosa può fare un’azienda dell’industria della moda oggi per avviare un reale ed efficace percorso verso la sostenibilità? È la tracciabilità del prodotto (e quindi la trasparenza dell’intera filiera) il punto da cui partire?
«Tra le sfide più importanti nel settore per una transizione verso la responsabilità c’è l’assenza di uno standard comune e obbligatorio per la tracciabilità, la trasparenza e la misurazione del livello di sostenibilità dei prodotti, una mancanza di cultura ed educazione sulla sostenibilità, over-produzione e over-consumo». Secondo Francesca Romana Rinaldi, «tra le soluzioni che dobbiamo trovare a livello settoriale, serve menzionare un sistema di tracciabilità comune, metodi comuni per misurare la performance di sostenibilità, garantendo a tutti gli attori, compresi i consumatori, la possibilità di valutare il livello di sostenibilità di un prodotto, l’educazione alla sostenibilità, attraverso training per gli attori della filiera e campagne di comunicazione comportamentale per ripensare le abitudini di acquisto e utilizzo. Il ruolo dell’azienda è fondamentale: il controllo della catena di fornitura e l’implementazione della tracciabilità sono i punti di partenza per raccontare in maniera trasparente la sostenibilità e la circolarità e per creare (o ricreare) fiducia verso tutti gli attori in gioco, compresi i consumatori. Il dato di fatto è che oggi non tutte le aziende valutano il rischio lungo le proprie catene del valore: questo approccio alla misurazione del rischio è più semplice per le aziende con elevata integrazione verticale».
Come dovrebbe essere fatta? «Primo step è la mappatura dei fornitori: la valutazione del rischio non riguarda solo le attività che l’azienda controlla direttamente. Secondo step è quello dei progetti di tracciabilità, ovvero di track & trace dell’item/SKU/lotto (a seconda del materiale), valutandone quindi il livello di rischio e le relative soluzioni per gestire questo rischio. Un progetto di tracciabilità di filiera permette anche la valorizzazione delle buone pratiche e l’identificazione dei fornitori più virtuosi che possono far raggiungere alle aziende obiettivi di performance di sostenibilità e circolarità in tempi più brevi. La tracciabilità contribuisce a valorizzare le buone pratiche».
Determinante, nel processo verso la realizzazione di prodotti sostenibili dal punto di vista sociale e ambientale, è il contributo che può arrivare dalla tecnologia: «piattaforme online, dispositivi intelligenti, intelligenza artificiale, internet delle cose (IoT) e blockchain potrebbero essere adottati per sostenere la transizione verso un’economia circolare e giocare un ruolo chiave nel raggiungimento di una maggiore trasparenza per i consumatori, dal momento che queste soluzioni possono essere utilizzate per informarli, educarli e incoraggiarli a optare per scelte più sostenibili. In quest’ottica la proposta di un passaporto digitale dei prodotti potrebbe rappresentare un efficace strumento per condividere le informazioni sui componenti e sui materiali, comprese le sostanze chimiche pericolose utilizzate, e specificare come il prodotto possa essere riusato o smontato e riciclato in modo sicuro alla fine della sua vita».
IL RUOLO DELLA COMUNICAZIONE E DEL CONSUMATORE
Linguaggio e forma di comunicazione, la moda si trova oggi nella condizione di dover raccontare correttamente anche il proprio impegno nella sostenibilità (quando esiste, perlomeno).
«Le aziende del settore», osserva Rinaldi, «sono sempre più interessate a comunicare la sostenibilità e i consumatori stanno diventando più attenti, soprattutto quelli delle nuove generazioni, e vogliono sapere cosa c’è dietro al prodotto per fare delle scelte informate. Per evitare il rischio di essere considerati dei greenwashers, la partnership di filiera tra brand a monte e quelli a valle sarà sempre più diffusa. In effetti, la tracciabilità di filiera e il racconto trasparente della stessa, rappresentano una grande opportunità per creare fiducia tra tutti gli attori in gioco, compresi i consumatori.
Lavorare sulla tracciabilità di filiera è una condizione indispensabile per sostanziare i claim di sostenibilità con informazioni certe e verificabili: solo in questo modo si può costruire (o ricostruire) un clima di fiducia tra tutti gli attori, compresi i consumatori. Le informazioni di tracciabilità saranno importanti anche per accelerare la trasformazione dei modelli lineari verso la circolarità: in futuro conosceremo la storia del prodotto e del suo impatto ambientale, per l’acquisto di un capo riciclato, usato, in affitto o sharing… sono solo alcune delle opzioni che il consumatore chiederà ai brand. I messaggi devono essere chiari, veritieri, rilevanti, affidabili e trasparenti. Se questi requisiti non sono rispettati potremmo trovarci in una situazione di greenwashing, anche se involontario».
E il consumatore? Cosa deve fare per sostenere la moda responsabile e quali gli errori che non deve assolutamente commettere? Per Francesca Romana Rinaldi, «tanti consumatori sono ingabbiati nel paradosso “interesse per la sostenibilità” – “evidenza nel comportamento e nell’azione”». Eppure, «un consumatore può fare tantissimo per non restare ingabbiato in questo paradosso». Per esempio?
«Resistere all’acquisto impulsivo per il piacere generato dal “buon affare” del prezzo basso. Se calcoliamo il prezzo che paghiamo quando si acquista un capo fast fashion con elevato contenuto stagionale e qualità scarsa rispetto ad un capo di qualità, durevole e senza tempo, ci rendiamo conto che il vero affare è nel principio “acquista meno, acquista meglio”». E, ancora, «non lasciarsi abbindolare dal greenwashing: cercare più informazioni sul prodotto, leggendo bene l’etichetta, chiedendo all’assistente alla vendita, scrivendo sui social del brand per esigere maggiori informazioni, se ancora non sono disponibili nell’etichetta. Acquistare un capo di moda sostenibile non è facile perché spesso è complicato trovarlo nei negozi. La seconda mano o gli acquisti online nelle sezioni dedicate ai brand sostenibili degli e-tailers possono aiutare».
È inoltre importante «essere curiosi e raccogliere maggiori informazioni per farsi una propria cultura della sostenibilità, rispettando anche quello che ci chiedono le istituzioni: cercare di estendere il più possibile la vita delle risorse che abbiamo a disposizione».
MONITOR FOR CIRCULAR FASHION
Nato nel 2020 e diretto da Francesca Romana Rinaldi, il Monitor for Circular Fashion è un progetto multi-stakeholder che offre una rappresentazione costantemente aggiornata della sostenibilità e circolarità del sistema moda italiano. «È un osservatorio della SDA Bocconi School of Management, un progetto di ricerca pluriennale e una community multiattoriale formato da aziende della filiera a monte, aziende della filiera a valle, service provider come partner tecnologici e una KPIs Committee», ci spiega. «Oggi le aziende partner sono 28 a cui si aggiungono 3 Research Technical Partner i.e. EEN – Enterprise Europe Network, Sector Group Textile ed ETP – European Technology Platform for the Future of Textiles and Clothing (Textile ETP) ed EURATEX, per raccogliere input di ricerca e per lo scouting di startup innovative, sostenibili e circolari. Gli obiettivi principali sono: identificare i KPIs di trasparenza, tracciabilità e circolarità specifici per il settore moda, creare una community italiana, europea ed internazionale per la moda circolare, produrre un report annuale per mappare a che punto sono le aziende del sistema moda nella performance di circolarità, valorizzando le buone pratiche e cercando di dare un contributo alla normativa».
E se la maggior parte delle volte, quando si parla di circolarità, anche nel settore moda, si fa riferimento solo agli aspetti ambientali, col Monitor for Circular Fashion l’analisi abbraccia anche gli aspetti sociali e di governance. «L’approccio ESG è visibile nella ricerca che pubblichiamo ogni anno e disponibile sul sito www.sdabocconi.it/circularfashion. Il report 2024/2025 sarà presentato con un evento pubblico a febbraio 2025».
Il Circular Fashion Manifesto è invece una dichiarazione di impegno sottoscritta da 28 aziende che fanno parte del Monitor for Circular Fashion SDA Bocconi. «Dal 2021», racconta Rinaldi, «questi player del settore si sono impegnati a migliorare la tracciabilità e la trasparenza delle loro filiere, in linea con gli standard fissati da UNECE. Dal 2023 il commitment si estende ad 8 delle 50 azioni del Textile Transition Pathway della Commissione Europea, una strategia per l’accelerazione delle pratiche green nel settore tessile abbigliamento pelle e calzature. L’obiettivo del Manifesto è chiaro: facilitare la transizione verso un’economia circolare nel settore della moda. Non si tratta di un puro commitment ma di azioni concrete che si applicano ai 14 progetti di circolarità. Questi progetti, sviluppati tra il 2022 e il 2024, sono coordinati dall’Osservatorio di ricerca SDA Bocconi e adottano un approccio di open innovation e partnership nella supply chain».
La versione aggiornata del Circular Fashion Manifesto, completa dei nuovi progetti circolari (pilota ed industrializzati), è stata appena presentata alla stampa durante l’ultima fashion week milanese.
«Nel 2024», aggiunge Rinaldi, «prosegue anche C-Factor, iniziativa per coinvolgere startup e PMI innovative nell’osservatorio di ricerca attraverso pitch-session con focus su materiali e processi innovativi per la circolarità nel tessile, abbigliamento, pelle e calzature».
DIRETTIVA QUADRO PER I RIFIUTI E NUOVI REQUISITI NORMATIVI
La direttiva quadro per i rifiuti e la relativa responsabilità estesa del produttore (EPR) che rappresenta un cruciale fattore di cambiamento per orientare l’economia verso un modello più sostenibile e circolare e che in Francia è presente dal 2007, è finalmente in arrivo anche in Italia. Per Rinaldi, «questa può essere vista come una grande opportunità, quella di estendere la vita delle risorse, di creare un nuovo mercato da scarti tessili, di riduzione dell’impatto della filiera del settore moda sul pianeta. È importante però gestire meglio la risorse tessili a disposizione, iniziando dalla raccolta ma anche applicando i principi di ecodesign nel progettare le collezioni moda: è quello che facciamo nel Monitor for Circular Fashion con i progetti di circolarità. A queste opportunità si affiancano delle sfide: nuove competenze da sviluppare nelle aziende; importanza di investire in tecnologie ed infrastrutture circolari; armonizzazione della normativa tra paesi UE».
Ma quali sono i principali requisiti normativi con cui dovranno confrontarsi le aziende del settore?
«La moda sta passando da settore deregolamentato a settore sovra-regolamentato con più di 16 normative che avranno impatto sulle strategie di sostenibilità e circolarità».
Qualche esempio? «Il Regolamento Ecodesign o Regolamento sulla progettazione ecocompatibile (ESPR) adottato dal Consiglio europeo lunedì 27 maggio 2024 che determinerà la % minima di fibre riciclate, requisiti minimi di durabilità… nonché l’implementazione del passaporto digitale; la Direttiva quadro per i rifiuti (Waste Framework Directive) con decreto attuativo in Italia in arrivo probabilmente nel 2025 che darà la responsabilità della gestione dei rifiuti tessili alle aziende; la Direttiva sui “Green Claims” 2024/825/UE “Responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”, entrata in vigore a inizio 2024 modificando la Direttiva 2005/29/Ce sulle pratiche commerciali sleali, per sostanziare i messaggi di sostenibilità e circolarità con dati certi e verificabili».
“CIRCULAR FASHION MANAGEMENT”: IL LIBRO
Pubblicato da Bocconi University Press, il nuovo libro Circular Fashion Management prosegue e allarga l’analisi sviluppata da Francesca Romana Rinaldi sul precedente L’impresa moda responsabile.
«Come dicevamo, quando si parla di circolarità spesso ci si concentra solo sui temi di impatto ambientale», spiega Rinaldi. «Circular Fashion Management aggiunge all’approccio ambientale anche quello sociale e di governance (ESG), con una visione multi-stakeholder alla circolarità nella moda. Il libro vuole contribuire a creare una cultura della circolarità per il settore moda, condividendo opportunità e sfide».
Partendo dal lavoro svolto nell’ambito dell’osservatorio di ricerca Monitor for Circular Fashion di SDA Bocconi, 27 esperti di tracciabilità, sostenibilità e circolarità nel settore moda hanno collaborato alla stesura del volume condividendo idee, prospettive e strumenti con l’obiettivo principale di catalizzare il cambiamento.
«Il libro», racconta Rinaldi, «parte dalla considerazione delle tecnologie come abilitatori della circolarità. Si discute inoltre di come evolveranno i ruoli e le carriere nel settore moda, evidenziando come la tecnologia guidata dalla circolarità potrebbe avere un impatto sulle abilità e competenze necessarie. La “E” dell’ambiente è presentata attraverso la battaglia per le risorse dei rifiuti tessili e l’attenzione alla strada verso l’impatto zero nella moda. La “S” di sociale è descritta come la necessità di integrare la sostenibilità sociale nelle filiere circolari della moda. Viene presentata nel dettaglio anche la “G” della governance per la circolarità.
L’approccio olistico del libro è completato da un capitolo dedicato alla tracciabilità, descritta come abilitatrice della circolarità nella moda; uno dedicato alle normative e alle politiche per la moda circolare; uno sulla necessità di una migliore sorveglianza del mercato dei prodotti tessili; e un capitolo sul pericoloso ruolo del greenwashing. Tra gli aspetti discussi nel libro si mette in evidenza il tema di come le aziende di piccole e medie dimensioni (PMI) debbano essere maggiormente coinvolte nelle discussioni sulla circolarità, data la loro rilevanza nel settore della moda».
Parlando invece delle nuove professionalità, indispensabili per traghettare le aziende verso modelli industriali più sostenibili, Rinaldi è convinta che emergeranno nuove opportunità per le figure che si specializzeranno sulla circolarità nel settore moda: «figure tecniche per i materiali innovativi, per la misurazione dell’impatto, per l’implementazione delle tecnologie di tracciabilità e circolarità ma anche figure manageriali che siano in grado di gestire una complessità sempre più elevata. Le opportunità sono anche per le numerose startup che stanno nascendo nella moda sostenibile e circolare, proprio grazie alla forte spinta della normativa».