Si è chiusa con un giorno di ritardo, nella notte tra sabato e domenica, la 29esima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici di Baku, in Azerbaigian. Si è chiusa con un applauso che ha segnato il raggiungimento di un accordo particolarmente agognato, evitando il temuto fallimento delle trattative. Dopo due settimane di intense negoziazioni, i rappresentanti di quasi 200 nazioni hanno approvato un nuovo obiettivo di finanza climatica, che porterà i finanziamenti annuali ai paesi in via di sviluppo dagli attuali 100 miliardi di dollari a 300 miliardi entro il 2035.
Un passo avanti, ma non basta
La cifra concordata rappresenta un passo avanti rispetto all’accordo del 2009, ma resta lontana dalle richieste iniziali di 1.300 miliardi. I fondi serviranno per aiutare i paesi più vulnerabili a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, adattarsi al cambiamento climatico e affrontare i danni provocati da eventi climatici estremi. Tuttavia, le critiche sono state immediate e accese.
«Questo obiettivo non è quello che speravamo di ottenere dopo anni di discussioni», ha dichiarato Sunday Evans Njewa, rappresentante del gruppo dei Paesi meno sviluppati (PMS). Ancora più dura la posizione dell’India, che ha definito la somma «irrisoria». Leela Nandan, delegata indiana, ha sottolineato che «l’importo proposto è abissalmente misero».
Anche il Gruppo africano dei negoziatori ha espresso delusione. «L’Africa ha lanciato e continuerà a lanciare l’allarme sull’inadeguatezza dei finanziamenti», ha affermato Ali Mohamed, leader del gruppo.
Per Anna Pelicci, capodelegazione di Italian Climate Network a COP29, il vertice di Baku «ha raggiunto alcuni obiettivi importanti, ma è difficile parlare di successo. Il compromesso sulla finanza per il clima, pur significativo, non risponde completamente alle necessità dei Paesi vulnerabili, mentre le discussioni sulla mitigazione sono state deludenti. La presidenza di Baku ha dimostrato ambizione, ma è difficile non vedere anche il paradosso di una guida saldamente ancorata agli interessi petroliferi».
Ferdinando Cotugno di Domani è molto critico sul vertice e i suoi esiti: «Per l’Europa il risultato di COP29 è un paradosso: ha preso insulti da tutti, ha scontentato mezzo mondo, dovrà comunque confermarsi primo donatore climatico mondiale, soprattutto dopo l’uscita degli USA dall’accordo di Parigi, e non avrà nemmeno la possibilità di dire alle proprie opinioni pubbliche che in cambio ci saranno progressi sul contenimento della crisi climatica».
Sempre Cotugno: «Siamo abituati a vedere marginalizzati gli attivisti, ora è toccato anche agli scienziati, sempre meno centrali nel processo multilaterale sul riscaldamento globale. Di misure concrete contro i combustibili fossili, causa principale della crisi climatica, non si è praticamente parlato, a causa dell’asse tra paese ospitante (92% dell’export azero sono idrocarburi) e Arabia Saudita, che ha impedito ogni progresso».
Nicolas Lozito de La Stampa ricorre alla metafora del mezzo bicchiere: «Se vediamo il bicchiere mezzo pieno, Baku doveva essere una Cop di transizione dedicata alla finanza, e ha mantenuto la promessa. Con questi accordi, faticosi e tecnici, ha tolto un po’ di castagne dal fuoco dalla COP30 che si terrà il prossimo anno in Brasile, dove si potrà tornare a parlare di altro con più coraggio. Se vediamo il bicchiere mezzo vuoto, abbiamo fatto passi indietro rispetto alla mitigazione. Dal testo finale è persino sparito un riferimento alla soglia di surriscaldamento +1,5°C, quella da perseguire se vogliamo limitare gli effetti imprevedibili del cambiamento climatico».
I punti principali dell’accordo
L’obiettivo di 300 miliardi di dollari all’anno sarà raggiunto tramite contributi pubblici e investimenti privati dei paesi ricchi, integrati da potenziali nuove fonti come tasse globali su grandi fortune o trasporti aerei e marittimi. Si punta a utilizzare questi fondi come leva per mobilitare ulteriori risorse, fino a 1.300 miliardi di dollari complessivi entro il 2035.
Il testo prevede inoltre una revisione dei contributi volontari da parte di paesi non considerati “sviluppati”, come la Cina. Tuttavia, la loro partecipazione resta discrezionale, accontentando Pechino, che insiste sullo status di paese in via di sviluppo.
Guterres e Biden: un inizio, ma non un traguardo
Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, ha definito l’accordo una base su cui costruire. «Avevo sperato in un risultato più ambizioso, sia in termini di finanza che di mitigazione, ma invito i governi a considerare questo accordo come fondamento per un futuro migliore», ha dichiarato.
Ottimista il presidente americano Joe Biden, che ha celebrato l’esito come “un risultato storico”. «Gli Stati Uniti hanno sfidato il mondo a fare una scelta: lasciare le comunità vulnerabili in preda ai disastri climatici o costruire un futuro migliore. Nessuno può fermare la rivoluzione dell’energia pulita», ha affermato.
Le divisioni interne e le sfide future
Le trattative hanno visto momenti di forte tensione. Gruppi come il PMS e i piccoli Stati insulari inizialmente si sono opposti all’accordo, chiedendo fondi riservati, ma sono stati convinti a non bloccare il testo finale. L’accordo prevede una roadmap per il prossimo vertice COP30, nel 2025 in Brasile, che dettaglierà come implementare i finanziamenti e ottimizzarne l’utilizzo, con maggiore spazio per le donazioni rispetto agli attuali prestiti, che rappresentano il 69% dei fondi per il clima.
Una “nuova era” o una “promessa tradita”?
«Con questa COP29 inizia una nuova era per la finanza climatica», ha dichiarato il commissario europeo per il clima Wopke Hoekstra. Più critico il ministro francese per la Transizione ecologica, Agnès Pannier-Runacher, che ha parlato di «un accordo deludente e non all’altezza delle sfide».
La COP29 si chiude quindi tra speranze e insoddisfazioni. Se da un lato il triplicamento dei finanziamenti rappresenta un progresso, dall’altro evidenzia la distanza tra le promesse e le esigenze reali dei paesi più colpiti dalla crisi climatica. Il vero banco di prova sarà nei prossimi anni: costruire su queste basi o lasciare che restino solo una promessa incompiuta?