Si aprono oggi a Baku, in Azerbaigian, il lavori della COP29, la conferenza sul clima che riunisce oltre 200 Paesi per decidere il futuro della finanza climatica e per fissare nuovi impegni nella lotta al riscaldamento globale. Mentre leader da tutto il mondo stanno raggiungendo Baku, il Wall Street Journal riporta che Donald Trump è intenzionato a firmare, già nel suo primo giorno alla Casa Bianca, un ordine esecutivo per uscire dall’Accordo di Parigi. La mossa del tycoon, fresco di trionfo alle elezioni presidenziali, segnerebbe il secondo ritiro degli Stati Uniti dal trattato, un atto che Trump aveva già anticipato durante la campagna elettorale.
In questo scenario, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha ribadito con urgenza che il mondo è vicino a superare il limite di 1,5 gradi di riscaldamento rispetto ai livelli preindustriali: «Stiamo per giungere a una serie di punti di non ritorno che accelereranno drasticamente gli impatti del cambiamento climatico. È assolutamente essenziale agire ora e ridurre drasticamente le emissioni». Di fronte al rischio di una nuova paralisi internazionale, Guterres ha sottolineato che solo con uno sforzo comune e coordinato si potranno affrontare le molteplici crisi ambientali. Dal Papa, invece, attraverso l’Angelus è arrivato l’auspicio che la Conferenza possa dare un contributo efficace “per la tutela della nostra casa comune”.
The #COP29 climate conference is just days away.
— António Guterres (@antonioguterres) November 8, 2024
Once again, young people are leading the call for #ClimateAction and ambition.
I am on their side.
Together, let’s keep fighting for the future they deserve — and the planet humanity needs. pic.twitter.com/2N7Ug2lsgf
Il nodo della finanza climatica
Un tema cruciale all’ordine del giorno della COP29 è il nuovo obiettivo finanziario collettivo, il New Collective Quantified Goal (NCQG). L’impegno dovrebbe sostituire il precedente target dei 100 miliardi di dollari annui, un traguardo fissato nel 2009 per sostenere i Paesi più vulnerabili. La crescente urgenza di fondi per rispondere ai disastri climatici richiede un impegno molto più ambizioso; secondo le Nazioni Unite, entro il 2030 sarà necessario coprire un divario di 359 miliardi di dollari l’anno solo per mantenere le condizioni ambientali attuali. «L’urgenza di affrontare la crisi climatica è più pressante che mai», hanno dichiarato le organizzazioni ambientaliste riunite nel Climatenetwork, precisando che «l’imperativo scientifico e morale di affrontare le emissioni globali e costruire la resilienza climatica rimane».
Le tensioni politiche internazionali e le assenze dei leader
La conferenza di Baku si svolge in un clima di tensioni geopolitiche che hanno portato a diverse defezioni. Fra le assenze più pesanti, quelle della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e del cancelliere tedesco Olaf Scholz, mentre il presidente francese Emmanuel Macron ha annullato la sua partecipazione, segnalando che nessun rappresentante francese sarà presente. Anche il primo ministro olandese Dick Schoof non parteciperà, ufficialmente per motivi di sicurezza interna. La Papua Nuova Guinea, uno degli stati insulari più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici, ha dichiarato di voler boicottare la conferenza, definendola “una perdita di tempo e di soldi”. La decisione, annunciata dal ministro degli Esteri Justin Tkatchenko, ha riscosso il plauso di altre piccole nazioni insulari.
Nel frattempo, il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha comunicato che non sarà presente alla COP29 a causa delle gravi inondazioni che hanno colpito il dipartimento di Chocó. «Ho sospeso il mio viaggio in Azerbaigian per la COP29 a causa del collasso climatico», ha scritto Petro su X. «Decreteremo lo stato di emergenza e con le scarse risorse di cui disponiamo affronteremo i primi soccorsi e aiuteremo le vittime».
Un appuntamento controverso
La scelta di Baku come sede della COP29 non è stata priva di critiche: il Paese ospitante è infatti un grande esportatore di combustibili fossili e viene spesso accusato di violazioni dei diritti umani. Diverse organizzazioni ambientaliste e alcuni Stati hanno espresso dubbi sulla trasparenza dei negoziati e sull’efficacia di un incontro ospitato da un Paese con forti interessi nell’industria petrolifera. Le pressioni saranno soprattutto su Paesi come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, due nazioni che basano la loro economia sull’estrazione di petrolio e gas ma sono chiamate a contribuire alla finanza climatica. «Ci aspettiamo che l’UE svolga un ruolo attivo per contribuire a raggiungere un accordo per un nuovo obiettivo finanziario che sposti realmente le risorse dai Paesi ricchi ai Paesi più vulnerabili al clima», hanno spiegato le ONG.
Un obiettivo complesso e incerto
Gli stati membri hanno fino a febbraio 2025 per presentare nuovi piani nazionali, i cosiddetti “National Determined Contributions” (NDC), che includano tagli significativi alle emissioni per raggiungere la riduzione del 45% entro il 2030, con l’obiettivo di superare questa soglia, puntando anche al 65%. Tuttavia, secondo un sondaggio tra esperti climatici condotto dal Guardian, le aspettative sono pessimiste: si prevede che il riscaldamento globale possa superare i 2,5 gradi rispetto ai livelli preindustriali, portando con sé conseguenze devastanti.