L’ultima stagione di monitoraggio della foresta amazzonica ha portato una notizia positiva per l’ambiente: la deforestazione è calata del 30,6% rispetto all’anno precedente, con un totale di 6.288 chilometri quadrati di foresta distrutti tra agosto 2023 e luglio 2024, segnando il miglior risultato registrato dal 2017, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile (Inpe).
Marina Silva, ministra dell’Ambiente, ha commentato il risultato definendolo «frutto di impegno e lavoro congiunto». Ha poi aggiunto: «Abbiamo ottenuto esiti importanti, riducendo la deforestazione dai 9.064 chilometri quadrati dell’anno precedente ai 6.288. Questo è quello che si ottiene con impegno e lavoro congiunto». Silva ha attribuito il successo agli sforzi in pianificazione territoriale e all’adozione di strumenti economici e normativi pensati per proteggere l’Amazzonia.
La riduzione della deforestazione è evidente anche nel bioma Cerrado, dove la perdita di vegetazione si è ridotta del 25,7%, passando dagli 11.002 chilometri quadrati dello scorso anno agli attuali 8.174. Il presidente Lula ha avuto un ruolo centrale in questo cambiamento di rotta, reintroducendo la creazione di riserve indigene, pratica sospesa nei quattro anni precedenti sotto la presidenza Bolsonaro. In queste aree gestite dai popoli indigeni, infatti, i tassi di deforestazione risultano molto più bassi rispetto al resto dell’Amazzonia.
La scorsa estate, Lula ha istituito due nuove riserve indigene, annunciando che «se non c’è futuro per l’Amazzonia e la sua popolazione, non ci sarà futuro nemmeno per il pianeta». In aprile ne erano state istituite altre sei, e ulteriori aree di protezione potrebbero essere create entro la fine dell’anno, per un totale di circa 800 riserve indigene già esistenti, anche se molte non sono ancora demarcate ufficialmente.