Mobile e predittivo, ma soprattutto flessibile. Sono i tratti salienti del servizio di “charge delivery” sviluppato da Reefilla, l’ambiziosa startup torinese che si è affacciata sulla scena della mobilità elettrica italiana tre anni fa e che, passo dopo passo, riconoscimento dopo riconoscimento, sta consolidando la sua presenza nelle città di Torino e Milano. L’idea è tanto semplice quanto complessa dal punto organizzativo: portare energia alle auto elettriche delle flotte aziendali, del car sharing e, potenzialmente degli utenti privati, ovunque si trovino e quando serve, “perché – recita un loro claim – la vita è ciò che accade quando non aspetti che la tua auto si ricarichi”.
Ribaltando i termini del popolare proverbio, insomma, “se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto”.
La “scatola magica” messa a punto da Reefilla si chiama Fillee. È un dispositivo di ricarica mobile fast costituito da un gruppo di batterie di seconda vita che gli operatori di Reefilla portano, dove necessario, utilizzando furgoni totalmente elettrici (bastano meno di 30 minuti di rifornimento di energia per fare 120 chilometri). A loro volta, coerenti col principio green del servizio, le batterie dei Fillee sfruttano l’energia pulita generata dall’impianto fotovoltaico di un hub milanese. Il resto lo fa una piattaforma digitale che monitora e riesce a prevedere il fabbisogno energetico di tutti i veicoli connessi alla rete di Reefilla.
Reduce dal trionfo al “Talentis”, il contest organizzato dai Giovani Imprenditori Confindustria e dedicato alle startup e scale-up italiane, Marco Bevilacqua, CEO e cofondatore di Reefilla, ripercorre per noi le tappe che hanno consentito alla sua azienda di crescere e distinguersi come una delle più innovative nell’ancora acerbo panorama della mobilità sostenibile. Non solo. L’incontro è, inevitabilmente, l’occasione per fare il punto su presente e futuro dell’auto elettrica soprattutto nel nostro Paese.

Qual è stato il tuo percorso professionale prima dell’incontro con i tuoi soci di Reefilla?
«Mi sono laureato come ingegnere meccanico a Napoli. Nel 2012 mi sono trasferito a Torino dove ho cominciato a lavorare in quello che all’epoca era ancora il gruppo Fiat, ma che sarebbe poi diventato Fiat Chrysler Automobiles, FCA. Mi sono occupato di sviluppo prodotto motori endotermici fino al 2017 e ho seguito progetti come quello Alfa Romeo, dell’epoca d’oro di Marchionne. Nel 2017 sono stato uno dei primi a essere coinvolto nei programmi di elettrificazione fino a diventare il responsabile della piattaforma Plug-In Hybrid di Jeep. Ho così iniziato a spostare il mindset dal motore a combustione interna al mondo dell’elettrificazione e ho seguito in parte anche il progetto della 500 elettrica. Ho conosciuto Pietro Balda e Gabriele Bergoglio, che sono i miei soci e cofondatori di Reefilla, in un master che facevamo in azienda e che metteva insieme i talent dell’allora FCA per un percorso manageriale che si è svolto dalla fine del 2018 al 2020. La grande sfida di quel master che si è chiuso in piena pandemia era sostanzialmente quella della transizione verso una mobilità sostenibile che all’epoca sembrava un miraggio futuristico. Abbiamo così cominciato a studiare in modo approfondito il mondo dei servizi e tutto ciò che c’è intorno all’auto elettrica, che in fondo non è che un’evoluzione dell’auto che abbiamo sempre conosciuto».
E così è nata Reefilla…
«Sì, non abbiamo lasciato cadere la penna, come si suol dire. Abbiamo continuato a lavorare su un nostro progetto, credendo sempre di più nel mercato che stavamo approfondendo. Abbiamo fondato Reefilla nell’aprile del 2021, quando contestualmente siamo usciti da quella che ormai era la neonata Stellantis per intraprendere il nostro percorso».
Esistevano già progetti analoghi, anche a livello internazionale, che vi hanno ispirato e convinti a lanciarvi nell’impresa?
«C’erano alcune startup, soprattutto negli Stati Uniti, ma in realtà anche in Italia, che credevano nel mobile charging. Questo non è stato comunque un deterrente, anzi. Come ha sempre detto un mio capo, “se sei il primo a fare qualcosa guardati bene intorno perché due sono le situazioni: o sei un genio o probabilmente stai sbagliando qualcosa”. Quindi, quando anche altri, in altre declinazioni, forme, modi, hanno l’intuizione che ci sia “quello” spazio sul mercato, non può che essere un indicatore positivo».
Quali sono state le tappe più importanti che hanno scandito l’evoluzione della vostra startup da embrione alla realtà più strutturata che è diventata oggi?
«Sicuramente non è bastata soltanto la nostra determinazione, siamo partiti con tante buone idee e con un power point. Il grande punto di svolta è stato essere selezionati nel primo batch di startup del Motor Valley Accelerator, l’acceleratore di startup in ambito mobility lanciato da Plug and Play e Cassa Depositi e Prestiti Venture Capital. Era il 2021, a cavallo tra l’estate e la fine dell’anno. Quello è stato per noi un modo di mettere piede nell’ecosistema innovazione, italiano e non solo, perché Plug and Play è uno dei più grandi player mondiali di open innovation. Essendo la nostra una realtà hardware, per iniziare avevamo ovviamente bisogno di capitali importanti. Parte li abbiamo ovviamente messi noi, ma parte sono arrivati grazie a questo acceleratore che ci ha poi aiutato non solo dal punto di vista manageriale, ma direi soprattutto dal punto di vista del network, per chiudere il nostro primo round di investimento in cui abbiamo raccolto un milione di euro a luglio del 2022. Tutto ciò è servito a darci gli strumenti necessari per poter portare a maturità il prodotto e lanciare prodotto e servizio alla fine del 2022. Per il resto poi, è tutta una questione di crederci, far crescere il team, migliorare le strutture, organizzare. È una strada sempre in salita, ma se così non fosse non sarebbe divertente».
Quali sono i punti fermi, i pilastri di Reefilla?
«Sin dall’inizio il nostro obiettivo è stato quello di creare un ecosistema di prodotti e servizi che potesse essere complementare all’infrastruttura. Noi nasciamo ovviamente con un piede nella mobilità, ma da sempre abbiamo considerato l’idea di poter stoccare energia in batterie che fossero mobili. Abbiamo un’anima che è sicuramente quella ingegneristica grazie alla quale sviluppiamo questi dispositivi e, soprattutto, aspetto molto importante per la sostenibilità, mettiamo in pratica le indicazioni della Battery Regulation e lavoriamo sulle cosiddette batterie second life. Si tratta di batterie che provengono dalle auto elettriche, tra virgolette, a fine vita, e che vengono riutilizzate per degli scopi che sono meno gravosi rispetto a quelli richiesti da un automobile. C’è quindi una componente ingegneristica che entra in gioco e che non riguarda la progettazione di batterie nuove, bensì il riutilizzo e l’assessment di batterie a fine prima vita, oltre allo sviluppo dei nostri dispositivi. La totale novità è rappresentata dal fatto che non esistendo componenti già pronte che si possono acquistare, abbiamo dovuto occuparci noi stessi di tutti gli aspetti della progettazione, dal design, interamente sviluppato in Italia, alle schede elettroniche, fino al software con cui con cui sono equipaggiate. C’è poi tutta la parte della logistica che è arrivata immediatamente dopo. La logistica è cruciale per poter fornire un servizio a tutto tondo e che al momento offriamo soprattutto alle aziende: serve un’organizzazione efficace per riuscire a portare i nostri dispositivi alle auto ed effettuare i servizi di ricarica. L’esempio più semplice è quello del car sharing con le auto elettriche sparse nelle diverse aree di una città come Milano che hanno bisogno di essere raggiunte e ricaricate».
In quali città operate attualmente e come funziona e a chi si rivolge essenzialmente Reefilla?
«Per adesso siamo attivi a Torino e Milano, principalmente perché preferiamo seguire la curva di diffusione delle auto elettriche. Abbiamo fatto alcuni progetti pilota orientati al singolo proprietario di auto elettrica che magari ha difficoltà a trovare la colonnina di ricarica. Il B2C presenta però diverse complessità legate soprattutto al costo di acquisizione del cliente. Abbiamo invece trovato uno spazio molto promettente nel mondo B2B, orientandoci verso le flotte delle aziende».
Qualche esempio?
«L’esempio più semplice è quello del car sharing che ha come stakeholder finale l’utente dell’auto sharing, ma il nostro interlocutore è l’azienda. Ci sono aziende a Milano che hanno una flotta di auto elettriche o ibride e non possono installare colonnine nei loro parcheggi. Il loro interesse non è solo offrire l’auto elettrica ma anche garantire che i dipendenti possano circolare con energia green. Noi riusciamo a fornirla grazie agli impianti fotovoltaici presenti nei nostri hub di ricarica. Immaginate anche tutti i piazzali di auto elettriche che sono distribuiti in Italia e in Europa dove transitano decine di migliaia di vetture che hanno magari bisogno di essere ricaricate: lì c’è una logistica complessa e i nostri dispositivi fanno al caso loro. Si pensi anche all’assistenza stradale: attrezzare un carro attrezzi o un’officina mobile con una sorta di pompa di energia portatile rappresenta un grosso valore aggiunto.
Oggi, insomma, ci rivolgiamo principalmente alle aziende, ma in futuro non è escluso che con il diffondersi dell’auto elettrica ci possa essere la giusta convenienza territoriale a portare il servizio altrove. Intanto, posso anticiparvi che stiamo cominciando a guardare anche al mondo della nautica perché anche quello si sta elettrificando. E se è difficile installare una colonnina a bordo strada, figuratevi quanto lo sia farlo in un porto».
Tema molto caldo e particolarmente spinoso quando si parla di veicoli elettrici, è, insieme a quello delle materie prime necessarie alla produzione delle batterie, la dipendenza dell’Occidente dalla Cina. Qual è il tuo punto di vista e che risposte pensi che le nostre industrie potranno dare in futuro?
«La situazione è a mio avviso abbastanza chiara. All’incirca una decina d’anni fa, più o meno tra il 2010 e il 2014, la Cina ha deciso di scommettere non su un nuovo capitolo ma su un nuovo gioco.
Mentre l’Europa e gli Stati Uniti continuavano a giocare nel vecchio campionato dell’auto convenzionale con tanti brand che la Cina non è mai riuscita a eguagliare in termini di qualità e di prodotto, i cinesi hanno scommesso sulla tecnologia delle batterie e dei motori elettrici. Lo hanno fatto con un’ingente somma di capitali e sono diventati eccellenti in quel settore, non tanto e solo dal punto di vista tecnologico, quanto per la capacità di produrre batterie per automobile di alto livello qualitativo su scala industriale. La Cina produce da sempre celle per gli smartphone, per i computer e per tutto il consumer electronics. Se si considera che oggi, in una Tesla, ci sono circa 1200 celle, si capisce bene, come la capacità produttiva dei cinesi faccia la differenza. Hanno un grosso vantaggio rispetto a tutti gli altri paesi perché si sono mossi in anticipo, hanno cominciato a organizzare la supply chain, hanno acquisito aziende produttrici di materie prime e sono diventati i migliori al mondo nel fare quello. Il futuro sarà essenzialmente una questione di mercato. Bisognerà capire se l’occidente continuerà a giocare per altri cento anni ancora al gioco del motore a combustione. Non spetta a me dire se sia giusta o sbagliata, ma mi sembra abbastanza ovvio quale sia la direzione che questo mondo debba prendere e la scelta che, soprattutto i paesi occidentali, debbano fare per garantirsi il futuro. Capisco che suoni strano, ma per garantirci un futuro dobbiamo diventare sostenibili e per diventare sostenibili dobbiamo abbracciare in tutti gli ambiti, non solo in quello dell’automobile, una tecnologia in cui non siamo noi i leader. Oggi si parla tanto di batterie litio-ione, ma non è assolutamente detto che in futuro non ci possano essere delle chimiche più sostenibili e una leadership tecnologica diversa. Sarà quello il momento in cui l’Occidente dovrà cominciare a giocare a un altro gioco ancora per riguadagnare la leadership tecnologico-industriale».
Secondo Motus-E, il numero di punti di ricarica delle auto elettriche disponibili nella nostra penisola ha raggiunto quota 54.164 il 31 marzo scorso, registrando un aumento di 12.991 unità nell’arco di 12 mesi e di 3.486 unità dall’inizio dell’anno. Il dato rappresenta un raddoppio del numero di punti di ricarica in due anni. Come giudichi questa crescita della rete infrastrutturale? Ma soprattutto che impatto può avere sul futuro di Reefilla? Vi ritenete complementari alle colonnine?
«Ci consideriamo assolutamente complementari. E aggiungo che chi ci dovesse considerare come dei competitor delle colonnine non coglierebbe, per motivi diversi, il significato della complementarietà. Come ho detto anche all’amico Francesco Naso (Segretario Generale di Motus-E, Ndr), sono dell’idea che la crescita delle infrastrutture in Italia sia estremamente buona, nel senso che se confrontiamo la diffusione territoriale con il parco circolante, il rapporto in Italia è soddisfacente. È bene ricordare che sono tutti investimenti privati e che non c’è un intervento sostanziale infrastrutturale pubblico che contribuisce a questa diffusione, eppure i numeri sono molto promettenti. Purtroppo non stiamo invece assistendo a un aumento significativo del parco delle auto elettriche circolanti. Le ragioni, in questo caso, sono molto più complesse. Tra incentivi e costo dell’auto elettrica c’è un’evidente difficoltà per il mercato italiano, fermo a una quota fra il 3 e il 5% di venduto elettrico. Non c’è dubbio che l’infrastruttura resti comunque il primo “enabler”, come dicono gli inglesi, per la diffusione della mobilità elettrica in tutte le sue forme. In meno di un anno e mezzo abbiamo elettrificato praticamente tutta la rete autostradale, dal centro nord fino almeno alla zona di Napoli, Salerno, Puglia. Questo significa che abbiamo avuto una velocità di esecuzione importante.
Qual è allora il punto? Il punto è che bisogna facilitare l’adozione dell’auto elettrica. Non è solo una questione di incentivi ma è anche un problema di disponibilità di mercato perché il costo dell’energia alla colonnina e delle auto continua a essere alto. L’altro interrogativo è legato alle infrastrutture: se oggi possono bastare, domani, quando avremo un turnover completo di vetture, potrebbero rivelarsi invece insufficienti».
Esiste anche un problema culturale che frena la transizione verso l’elettrico?
«Sì, quello culturale continua a essere un punto cruciale e lo dico da guidatore di auto elettrica da oramai due anni e mezzo. È una transizione che assomiglia molto a quando si lasciò il cavallo e si salì sull’auto a combustione interna, che in fondo era quasi una carrozza a motore. Fu un cambio epocale. Oggi il passaggio ci appare un po’ meno epocale perché l’auto sembra la stessa. E invece saliamo a bordo di auto sempre più connesse, completamente elettriche, che in buona parte già guidano da sole: questo, dal punto di vista culturale, è un cambio epocale. Noi, come esseri umani in generale, siamo sempre portati a conservare il nostro “stato di moto”, per dirla da ingegnere, e pertanto siamo portati ad immaginare una soluzione che assomigli alla benzina. In conclusione ci vuole tanta cultura, facilitazione all’accesso dell’auto elettrica e volontà di cambiare, quindi disponibilità ad abbracciare qualcosa di nuovo. Pertanto punterei molto anche sulla cultura. Ciò non toglie che gli incentivi siano necessari e le infrastrutture poi arriveranno. Una nota sicuramente importante, invece: quello di oggi è un mercato non regolamentato. Il che significa che se tu mi chiedi quanto costa una ricarica possiamo aprire un capitolo infinito perché una ricarica costa dagli 0 euro per chi ha un pannello fotovoltaico, ai 15 centesimi per chi può caricare a casa, e a 1 euro e 5 centesimi in alcune circostanze per la ricarica fast. È come se ti dicessi che un litro di benzina può costare 10 centesimi o 10 euro. Chiaramente tutto questo non aiuta, sebbene siamo solo in una fase iniziale di assestamento del mercato».
Confermi che l’energia delle vostre power bank è totalmente pulita e che la fonte prevalente è il fotovoltaico?
«Esatto, siamo anche compartecipati da una holding che installa impianti fotovoltaici industriali. Ma per il servizio di fornitura alle aziende e al car sharing, quindi non solo il noleggio dei nostri dispositivi, impieghiamo energia green gestita con un nostro hub di ricarica a Milano, ovviamente in partnership, dotato di un impianto da 100 kilowatt di potenza. Quindi ricarichiamo le batterie con energia 100% green, peculiarità che attrae tutte quelle aziende che stanno iniziando a prestare attenzione agli aspetti ESG della loro attività. Va detto che in materia di rinnovabili l’Italia può considerarsi un’eccellenza: abbiamo mediamente il 35% del medio mix energetico nazionale che proviene da fonte rinnovabile. E chi sostiene che l’auto elettrica inquina più dell’auto a benzina dice una fesseria grande come una casa. Se si considera l’intero ciclo vita della vettura e che il 35% della produzione elettrica in Italia è green, l’auto elettrica resta di gran lunga più ecologica dell’auto a benzina sul ciclo di vita».
Parlavamo prima di incentivi. All’inizio di giugno gli ecobonus stanziati dal nostro governo, circa 201 milioni, si sono volatilizzati in meno di nove ore. Come si spiega tutto questo successo? Gli italiani si sono improvvisamente innamorati dell’auto elettrica?
«No, il fatto è che ci siamo ritrovati a fronteggiare il varo di incentivi in poche ore dopo averli aspettati per sei mesi. Provo a spiegarmi meglio: se io voglio acquistare un’auto, ragionevolmente la considero elettrica se sono un po’ avanti nella valutazione delle prospettive, ma mi sento un idiota ad acquistarla subito sapendo che gli incentivi verranno varati. Ecco allora che, se si aspetta tanto tempo e poi si toglie il tappo, il numero di quanti aspettavano l’incentivo diventa un fiume.
L’attitudine e la volontà di acquistare elettrico ci sono, ma ci vuole anche una determinazione di pianificazione da parte del legislatore nell’essere concreto in termini di tempo. Oggi, 2024, aspettare sei mesi per una decisione che comunque ha un impatto importante sul mercato è un ritardo non più colmabile. Oggi, sei mesi sono un’epoca, un tempo siderale. Resta tuttavia un segnale positivo, anche se dovranno e devono comunque arrivare auto elettriche a un prezzo più accessibile. Resta il fatto che le auto endotermiche sono destinate ad aumentare il loro costo a causa delle normative anti-inquinamento sempre più stringenti, mentre quelle elettriche inesorabilmente caleranno a causa della naturale competizione sul mercato e a causa dell’efficienza in ricerca e sviluppo e nuovi materiali».
Per chiudere, ti chiedo un piccolo bilancio di metà anno: se sei soddisfatto di questa prima metà dell’anno e soprattutto cosa ti aspetti per Reefilla nei prossimi mesi del 2024?
«Siamo molto soddisfatti perché abbiamo chiuso un 2023 in cui abbiamo sperimentato tanto e trovato comunque uno spazio sul mercato oltre che aver più raddoppiato il fatturato del 2022. Abbiamo cominciato il 2024 molto positivamente aumentando quelle che sono la nostra produzione e la nostra capacità, abbiamo siglato importanti contratti e rinnovi. Inoltre stiamo lavorando allo sviluppo di un nuovo prodotto totalmente disegnato in Italia, un energy storage portatile tra i più prestazionali e compatti che usciranno sul mercato. Ma soprattutto stiamo lavorando a una nuova operazione di aumento di capitale molto importante in termini di numeri. Com’è noto, gli investimenti in startup in Italia sono ancora pochi e questo aumento di capitale ci aiuterà a crescere anche come organico e come progetti. Lo dicevo all’inizio: la nostra è una magnifica strada in salita».