Le emissioni di metano generate da 29 delle più grandi aziende produttrici di carne e latticini a livello mondiale, stanno aggravando la crisi climatica in modo drammatico. Secondo un nuovo rapporto di Greenpeace Nordic, queste emissioni sono comparabili a quelle delle 100 maggiori compagnie di combustibili fossili. Il metano, infatti, è un gas a effetto serra estremamente potente, in grado di avere un impatto sull’ambiente 80 volte superiore rispetto alla CO2 nel breve periodo.
Un’opportunità per rallentare il riscaldamento globale
La buona notizia, secondo Greenpeace, è che ridurre la sovrapproduzione e il consumo eccessivo di carne e latticini nei paesi più ricchi potrebbe dare un’importante boccata d’ossigeno al pianeta. Adottando questo approccio potremmo rallentare il riscaldamento globale, offrendo tempo prezioso per completare la transizione energetica verso fonti rinnovabili. Occorre però una rapida trasformazione del sistema alimentare verso una dieta maggiormente vegetale, in linea con le raccomandazioni della commissione EAT-Lancet per la salute planetaria.
“Ridurre la produzione e il consumo di carne e latticini può far scendere la temperatura globale di 0,12°C entro il 2050”, si legge nel rapporto. Questo contribuirebbe a ridurre il riscaldamento aggiuntivo previsto del 37%, un risultato cruciale in un contesto in cui anche frazioni di grado contano. Ad esempio, evitare un aumento di 0,3°C potrebbe ridurre l’esposizione di 410 milioni di persone a temperature estreme.
Un settore che non è più esente da responsabilità
Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, sottolinea come per troppo tempo il settore zootecnico sia stato trattato come se non avesse un impatto significativo sulla crisi climatica: «Abbiamo assistito a una crescita senza freni delle grandi aziende di carne e latticini, come se fossero esenti da responsabilità verso il cambiamento climatico. Non è affatto così». Ferrario prosegue spiegando come il sistema alimentare sia stato modellato dalle stesse aziende che decidono cosa produrre e vendere, lasciando consumatori e allevatori con poche alternative: «Ora però sappiamo che un cambiamento è possibile, e deve partire proprio da queste aziende».
Le azioni di Greenpeace e il caso Cremonini
In vista del prossimo summit globale sul clima delle Nazioni Unite (COP29), gli attivisti di Greenpeace hanno intensificato le loro azioni contro l’industria della carne e dei latticini. Tra queste, operazioni pubbliche con fumogeni rosa per richiamare l’attenzione sulle emissioni di metano prodotte dai giganti del settore, oltre a denunciare le pratiche di greenwashing messe in atto per nascondere il loro impatto reale. Nel rapporto Greenpeace punta il dico anche contro il gruppo italiano Cremonini (a cui fanno capo diversi marchi nazionali, come Montana, Manzotin, Fiorani e Montagna) che, tramite la controllata Inalca, rappresenta uno dei maggiori player europei nel settore della carne, con oltre 480.000 tonnellate commercializzate solo nel 2022. Di queste – sottolinea Greenpeace nel rapporto – oltre 200 mila tonnellate di carne bovina sono state macellate direttamente da Inalca nei propri stabilimenti, mentre oltre 230 mila tonnellate di carne bovina e 40 mila tonnellate di carne suina sono state acquistate presso terzi, per un totale di emissioni stimate pari a 0,32 megatonnellate di metano.
Una transizione giusta e necessaria
Greenpeace e gli scienziati concordano: il metano è uno dei principali responsabili del cambiamento climatico, e le sue emissioni devono essere ridotte drasticamente entro questo decennio. Tuttavia, il Global Methane Pledge, lanciato alla COP26 del 2021, si è finora concentrato solo sul settore dei combustibili fossili, ignorando la necessità di regolamentare anche le grandi aziende zootecniche. «I governi devono prendere in mano la situazione, sostenere gli agricoltori e guidare una transizione giusta” conclude Ferrario. “Abbandonare la sovrapproduzione di carne e latticini è cruciale per salvare milioni di vite e limitare il riscaldamento globale».