Sta facendo discutere un recente studio pubblicato sulla rivista Journal of Exposure Science & Environmental Epidemiology e recentemente evidenziato anche da ilfattoalimentare.it che, dati alla mano, rivela come ogni giorno entriamo in contatto con migliaia di sostanze chimiche attraverso il cibo che consumiamo. Si stima che oltre 14.000 sostanze, note come Food Contact Chemicals (FCC), siano utilizzate nei materiali destinati alla conservazione e al trattamento degli alimenti. Di queste, circa 1.800 possono migrare dai contenitori o dalle confezioni, arrivando direttamente negli alimenti e, di conseguenza, nel nostro corpo.
Gli effetti di molte di queste sostanze sono ancora in gran parte sconosciuti, ma numerosi studi hanno dimostrato che alcune possono essere particolarmente nocive per la salute umana. La ricerca su vasta scala appare comunque complessa, soprattutto a causa delle difficoltà nel monitorare la presenza di composti chimici in campioni biologici. Nonostante ciò, lo studio condotto dal team della Food Packaging Forum Foundation di Zurigo fa luce su una realtà allarmante: nei campioni biologici di persone esposte a queste sostanze sono state rilevate oltre 3.600 sostanze chimiche diverse, un quarto di quelle analizzate.
I campioni, provenienti da sangue, urine, latte materno, pelle e persino dalla placenta, hanno rivelato la presenza di una vasta gamma di composti come PFAS (sostanze perfluoroalchiliche), plastificanti, ftalati, metalli pesanti, pesticidi e bisfenoli. Tra i 194 composti pericolosi analizzati nei programmi di biomonitoraggio, 80 sono stati trovati nei campioni umani. E dei 175 composti classificati come prioritari per la loro pericolosità, 63 sono stati individuati nei database, mentre per altri 59 le informazioni sono risultate gravemente insufficienti.
Secondo i ricercatori la quantità di sostanze chimiche che entrano nel nostro corpo è davvero sorprendente, e la mancanza di informazioni dettagliate sulle conseguenze a lungo termine è preoccupante.
Per affrontare questa criticità, gli autori dello studio hanno creato un database pubblico, il FCChumon, con l’obiettivo di facilitare la condivisione delle informazioni nella comunità scientifica. Questo archivio raccoglie dati provenienti da studi e biomonitoraggi, e permette ad altri ricercatori di accedere alle informazioni già disponibili, promuovendo una diffusione più rapida delle conoscenze.
“Il nostro lavoro dimostra che i materiali a contatto con gli alimenti non sono completamente sicuri, anche se rispettano le normative vigenti – spiega Jane Munke, una delle autrici principali dello studio -. È fondamentale che queste nuove scoperte vengano utilizzate per migliorare la sicurezza alimentare, sia attraverso una revisione delle normative esistenti che tramite lo sviluppo di alternative più sicure”.
I risultati, pur complessi, puntano a un obiettivo chiaro: aumentare la consapevolezza sui rischi legati all’uso di sostanze chimiche nei materiali a contatto con gli alimenti e promuovere una maggiore sicurezza per la salute umana.
"We absorb the harmful chemicals used in everyday #plastics through our skin, through the air we breathe, by ingesting them" – Dr Jane Munke#PlasticsTreaty @minderoo
— JBI (@JBIEBHC) August 20, 2024