Il Consiglio nazionale dei giovani (CNG), l’organo consultivo del governo cui è demandata la rappresentanza dei giovani nel rapporto con le Istituzioni per ogni confronto politico, ha di recente pubblicato l’indagine “Lost in transition”. Condotta con il supporto tecnico dell’IREF, la ricerca esplora le diverse esperienze vissute in Italia dai giovani Neet (Not in Education, Employment or Training), cioè i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in un percorso di formazione, a seconda che vivano nelle aree metropolitane o in quelle interne.
Il dato che emerge con maggiore evidenza è che più di 7 giovani su 10 classificati come “Neet” dichiarano di aver svolto lavori in nero nell’arco dell’ultimo mese, quota che nelle città arriva fino al 90%. I Neet delle città sono più attivi nell’economia informale, mentre quelli delle aree interne dipendono maggiormente dal supporto familiare. I Neet urbani sono anche più istruiti: il 65,3% ha un titolo di studio superiore, rispetto al 9,6% nelle aree rurali. Questi dati evidenziano una marcata disparità nell’accesso all’istruzione superiore e riflettono una diversa capacità di scelta nel prendersi una pausa dal lavoro precario.
Le motivazioni dietro la condizione di Neet variano. Circa il 29,9% considera la propria situazione come una “pausa sabbatica”, una percentuale che sale al 39,7% nelle aree metropolitane. Altri motivi includono la necessità di sostenere la famiglia (20,5%) e la disponibilità di risorse finanziarie (13%). Nei contesti rurali, la sfiducia nel mercato del lavoro e i carichi familiari sono motivi prevalenti.
L’analisi per cluster dei giovani Neet evidenzia una marcata eterogeneità tra quelli metropolitani, denominati “ancora in gioco”, e quelli delle aree interne, “per ora in pausa”. I primi sono attivamente coinvolti nell’economia informale, attraverso attività come la compravendita online e lavori in nero, mantenendo una certa indipendenza economica. Mostrano inoltre un’elevata auto-attivazione sociale e politica. Al contrario, i Neet delle aree interne partecipano meno all’economia informale e alle attività sociali e politiche, un divario attribuibile alle limitate opportunità lavorative e alla carenza di reti di supporto.
Queste differenze si riflettono anche nelle motivazioni e negli approcci al lavoro: i Neet “ancora in gioco” valorizzano maggiormente le proprie competenze, mentre quelli delle aree interne manifestano fatalismo e dipendenza da fattori esterni. La ricerca evidenzia inoltre una tendenza tra i giovani Neet a sacrificare i propri diritti lavorativi pur di trovare occupazione, specialmente tra quelli delle aree interne. Questi processi di socializzazione al lavoro, segnati da contraddizioni e sfide, erodono la fiducia dei giovani Neet nelle proprie capacità e nelle istituzioni. A livello politico e pubblico, è cruciale riconoscere che tali situazioni di stallo non derivano dalla passività individuale, ma da processi sociali e culturali più ampi legati alle dinamiche del mercato del lavoro.
La Presidente del Consiglio Nazionale dei Giovani, Maria Cristina Pisani, sottolinea che l’indagine “fotografa come la percezione dei Neet nell’opinione pubblica non corrisponda alla realtà. Nel campione intervistato le evidenze più significative sono due: in molti affermano di seguire e/o aver seguito privatamente percorsi di auto formazione professionale e tanti dichiarano una piccola autonomia reddituale frutto di lavori saltuari e irregolari o di proventi da attività online. L’ennesima dimostrazione – prosegue Pisani – di quanto non sia realistica la narrazione dei giovani choosy e di quanto siano estese la zona grigia di formazione non riconosciuta e quella di lavoro sommerso e in deroga. Giovani che, peraltro, affrontano sfide uniche e variegate a seconda del loro contesto territoriale. È cruciale che le politiche pubbliche riconoscano queste differenze e adottino approcci personalizzati per supportare efficacemente i Neet e accompagnarli verso una formazione e un’occupazione di qualità”.