Secondo la FAO, entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà i 9,1 miliardi, il 34% in più rispetto ad oggi e aumenterà principalmente nei paesi in via di sviluppo. Per nutrire questa popolazione più ampia, più urbana e più ricca, si stima che la produzione alimentare dovrà crescere del 70%, in particolare nel settore cerealicolo (da 2,1 a 3 miliardi di tonnellate) e nella produzione annuale di carne, che dovrà salire di oltre 200 milioni di tonnellate per raggiungere i 470 milioni necessari. Attualmente, il settore agro-alimentare è responsabile del 30% delle emissioni di gas serra globale, fenomeno che sarà più diffuso in seguito alle maggiori richieste di cibo e all’utilizzo massiccio di mezzi per il trasporto dei viveri in diversi paesi.
Di questo passo, entro il 2100 si prevede che la temperatura superficiale globale passi da 1,4°C a 4,4°C con gravi conseguenze sull’ecosistema. I cambiamenti climatici, infatti, minacciano sempre più il pianeta con condizioni meteorologiche inconsuete ed estreme, che comportano non solo difficoltà di adattamento da parte degli esseri viventi, ma anche alterazioni nell’equilibrio delle stagioni secche-piovose e la diffusione di piante infestanti e parassiti. Queste sfide richiedono una profonda riconfigurazione dei processi produttivi, che devono diventare ancora più rispettosi dell’ambiente e sostenibili. Ma questo non basta: è evidente come sia urgente promuovere una più capillare educazione dei consumatori a comportamenti di consumo responsabili e salutari. Come fare? Secondo la FAO, la comprensione dei consumatori e dei loro comportamenti (la scelta, la preparazione e il consumo dei cibi, nonché la gestione dei rifiuti ad essi connessi) è un elemento che ha un ruolo centrale nel sistema agro-alimentare. I consumatori agiscono condizionati da fattori culturali, socio-economici, politici, psicologici, ma allo stesso tempo possono, con i loro comportamenti, influenzare l’intera filiera agro-alimentare.
Tuttavia, ad oggi la variabile “umana” del consumo alimentare e dei comportamenti di salute ad esso collegati è ancora poco esplorata e compresa. Nonostante cresca il consenso internazionale sulla priorità di rilanciare l’analisi approfondita dei comportamenti di consumo e delle loro determinanti, per porre le basi di politiche davvero efficaci, siamo ancora molto indietro su questo fronte. Secondo una prospettiva ecologica e bio-psico-sociale, diventa dunque necessario adottare lenti teoriche e metodologiche complesse, volte a comprendere gli apparenti paradossi delle condotte di consumo. In questo sfidante contesto, la psicologia può mettere in campo saperi e metodi capaci di orientare strategie di intelligence sui comportamenti delle persone, ma anche progettare interventi di comunicazione, sensibilizzazione e coinvolgimento atti a modificare tali comportamenti in direzione di una maggiore sostenibilità sociale ed ambientale.
L’affermazione può suonare ardita, se si adotta una rappresentazione stereotipica e riduttiva del ruolo delle scienze psicologiche e degli psicologi, esclusivamente ancorata al contesto socio-sanitario. Tuttavia la psicologia è una disciplina variegata ed ampia, che include anche l’analisi del “quotidiano”, cioè delle condotte (più o meno volontarie, più o meno razionali) che gli individui mettono in atto nella loro vita e che possono avere conseguenze importanti per la loro salute e per la sostenibilità ambientale. Ed è in questa prospettiva che psicologi esperti in analisi e modifica dei comportamenti e degli stili di vita possono dare un importante contributo alla promozione di una migliore sostenibilità del sistema produttivo e di consumo. Comprendere le radici profonde dei comportamenti, non solo a livello individuale, ma anche di gruppo e di comunità, dovrebbe essere alla base dell’indirizzo delle policy sul piano locale e nazionale.