Alla prima parte della sua carriera professionale, quella che va dal 2008 al 2014, Alessio Carciofi si riferisce indicandola come la sua prima vita. «Nella mia prima vita mi occupavo di digital transformation. Andavo dalle aziende a portare innovazione digitale, fenomeno che all’epoca era totalmente pervasivo. Questo nuovo ambiente mi ha portato dritto dritto in burn out digitale». Alla presentazione del suo ultimo libro, Wellbeing. Il futuro umano e digitale del benessere, organizzata da Mirandola Comunicazione presso la chiesetta sconsacrata di San Carlo alle Rottole, a Milano, di Paolo Iabichino, Alessio Carciofi, professore universitario ed esperto di marketing & digital wellbeing, racconta la sua storia con totale sincerità.
È il 2014. La sua carriera da consulente procede per il meglio, almeno in apparenza. Ha moltissimo lavoro, pochissimo tempo libero ed è sempre raggiungibile perché, per Alessio, esserci sempre, 24 ore su 24, significa essere produttivo.
Lo smartphone è un prolungamento del suo corpo. Sopravvivere senza sembra impossibile. Qualcuno prova a fargli notare che forse sta esagerando, ma lui non gli dà retta, finché un giorno arriva un appuntamento che non può più attendere: il burn out. «Il burn out è un viaggio in solitaria, se ne accorgono tutti tranne te», racconta l’autore. «Tutti vedono che stai male, ma tu sei l’ultima persona che raggiunge questa consapevolezza. Tuttavia, neanche il burn out è abbastanza per uno stacanovista come me. Nonostante tutto, continuo ad andare avanti. Soltanto con la fine di una relazione e l’arrivo dell’insonnia, mi fermo. Dove mi fermo di preciso? In Umbria, in un eremo del 1200, a Monteluco, dove per la prima volta passo dal rumore del digitale al silenzio del nulla».
Dopo aver chiesto ospitalità ai frati del Santuario di San Francesco, Alessio si ritrova con lo smartphone scarico e senza la possibilità di ricaricarlo. I primi giorni sono estremamente difficili, partecipa alle riunioni e ai rituali dei frati senza capirci nulla, immergendosi in una dimensione spirituale che, fino a quel momento, gli è del tutto estranea. «Poi lentamente il silenzio comincia a diventare un piccolo germoglio che inizia a farmi stare bene».
È l’inizio della sua nuova vita. Una volta uscito dal santuario, si appassiona al mondo della psicologia, della terapia comportamentale e della spiritualità. Convinto di voler condividere le sue nuove consapevolezze e aiutare altre persone a instaurare un rapporto equilibrato con la tecnologia e prevenire problemi associati all’uso eccessivo di dispositivi e applicazioni digitali, Alessio decide di riprendere il suo lavoro di consulente digitale, aggiungendo, però, la parola benessere, quindi “benessere digitale”.
Le sue nuove esperienze confluiscono, prima, nel libro Digital Detox, una guida per trovare un giusto equilibrio tra vita professionale e vita privata e, poi, in un secondo volume dal titolo Vivere il metaverso. Purtroppo, l’entusiasmo iniziale deve fare i conti con la realtà. I tempi non sono maturi per parlare di benessere digitale, le aziende non vedono la necessità di rallentare. Proprio quando inizia a sospettare di aver buttato via il suo tempo, arriva il 2020: la pandemia da Covid-19 ridisegna i confini tra vita privata e lavorativa, gli equilibri di lavoro tradizionali si spezzano. Le aziende iniziano a prestare maggiore attenzione al benessere dei dipendenti, mettono in atto politiche di flessibilità, sostengono l’equilibrio tra vita professionale e personale, offrono servizi di supporto psicologico.
In questo contesto il ruolo di consulente di digital wellbeing trova finalmente terreno fertile e, a novembre 2023, esce il suo nuovo libro: Wellbeing. Il futuro umano e digitale del benessere, edito da Il Sole 24 ore. Attraverso storie di persone e aziende che hanno deciso di mettere al centro il proprio benessere, conoscenze scientifiche e ben “21 consigli per vivere con serenità il digitale”, il libro di Carciofi si pone come una guida pratica per dimostrare che benessere, produttività e risultati sono strettamente collegati. Si rivolge a tutti coloro che, in un contesto lavorativo in costante evoluzione, nel quale le offerte sembrano promettere una flessibilità e un’autonomia inedite, faticano a cogliere le opportunità di un mondo del lavoro sempre più smart. Ma si rivolge anche a chiunque abbia a che fare con il digitale oggi: in poche parole, a tutti.
Il concetto di benessere
Il testo propone l’idea di una “rivoluzione umana del benessere”, sottolineando la necessità di contrastare la fatica mentale, lo stress e l’eccessiva connessione digitale per fare propria la capacità di vivere nel qui e ora. Infatti, come racconta nel corso della nostra intervista, per Alessio il benessere è «una dimensione autentica, attuale e amorevole dello stato di noi stessi. Non è una proiezione di chi sarò, ma un selfie dell’anima attuale. Ciò implica il fatto di non lavorare sulla performance, cioè su come e chi voglio diventare in futuro, ma su quello che c’è oggi, quello che è ora. Ma oggi, per scattare un selfie dell’anima quanto più aderente alla realtà, è necessario includere anche la tecnologia perché, se la escludiamo, otteniamo una fotografia incompleta».
Radicarsi nel presente non è un esercizio scontato, specie se si considera che viviamo continuamente il digitale, una dimensione parallela che, se mal gestita, rischia di allontanarci da noi stessi e dagli altri. Ma quand’è esattamente che il digitale diventa tossico? «Il digitale diventa non più favorevole al nostro benessere e non più incline al perfezionamento dei nostri obiettivi e alla nostra performance, quando non riusciamo più ad ascoltare il nostro corpo», risponde Alessio. «Oggi ascoltiamo tutte le notifiche dei nostri device, ma facciamo fatica ad ascoltare il corpo. Il digitale diventa “tossico” quando ci troviamo in un altro emisfero emotivo ed energetico, non ascoltiamo chi c’è intorno, siamo troppo lontano da noi e l’ego ci fagocita. Quando ci immergiamo nella mentalità della scarsità di tempo, che diventa un mantra e ci porta fuori dal contesto attuale, facendoci credere di essere produttivi quando non lo siamo. In questo modo, la vita diventa una corsa per raggiungere uno status di appartenenza ed essere accettati».
Quello della “time scarcity” è un punto su cui Carciofi ritorna molte volte nel suo libro. La tecnologia ha eroso i confini tra vita personale e privata e, complici le culture aziendali che fanno della frenesia una norma, si è diffusa la sensazione comune di non avere mai di tempo. La “time scarcity” è proprio la costante sensazione di non avere abbastanza tempo per completare le attività quotidiane e rischia di condurre alla “mind scarcity”, uno stato che influisce negativamente sulle abilità cognitive e sulla capacità di agire in modo risoluto davanti a situazioni e problemi. Una mente saturata può portare a stress, inefficienza e a una perdita di controllo sulla propria giornata. Diventa quindi fondamentale riconoscere questi modelli di pensiero limitanti per essere in grado di adottare strategie che consentano di prendere decisioni più informate e condurre una vita più equilibrata.
«Quello che succede quando l’ego ci fagocita – continua Alessio – è che cominciamo a inseguire una direzione che ci fa perdere di mira quali sono i nostri valori, qual è la nostra sfera relazionale, ma anche lavorativa. Non si fa altro che seguire la cultura 24/7, caratterizzata dalla cronica mancanza di tempo e dall’esserci sempre e comunque per tutti, a tutte le ore. Così facendo, non seguiamo noi stessi, ma una scenografia, di cui non conosciamo le regole».
Del resto, l’evoluzione tecnologica nel contesto digitale ci è stata consegnata in uno stato di totale anarchia, come scrive Alessio nel suo libro: «Esplorare Internet, paradossalmente, è come prendere il timone di una nave senza mai aver imparato a navigare. Nessuno ci ha dato una mappa per muoverci tra i mari digitali, eppure ci troviamo costantemente in acque virtuali sconosciute. Eppure, in queste acque, ci sono i nostri lavori, le nostre relazioni, i nostri conti bancari, leggiamo i menu al ristorante e le ricette del dottore, le pagelle dei nostri figli, la cartella clinica. C’è tutta la vita, preziosa e vulnerabile».
Una buona strategia per tornare ad essere presenti nel qui e ora e prendere in mano la propria vita è quella di osservare un periodo di “digital detox”, espressione con cui si è soliti indicare un certo lasso di tempo durante il quale una persona si astiene dall’utilizzare dispositivi tecnologici, come smartphone, computer, tablet e siti di social media. Carciofi riprende il concetto di digital detox, adattandolo alla vita di chi, per motivi personali o lavorativi, non può fare completamente a meno del digitale. “L’espressione digital detox paga lo scotto di far automaticamente pensare a una privazione. Sembra indicare qualcosa che dobbiamo fare per rientrare in un regime calorico. Con l’espressione digital detox, invece, mi riferisco a un modo bilanciato di integrare la tecnologia nelle nostre vite”.
21 consigli
Come si diceva, quella di Alessio è anche una guida pratica che ha l’obiettivo di fornire delle indicazioni per vivere con serenità il digitale. Il libro fornisce 21 consigli per aiutare il lettore a gestire in modo sano e produttivo l’interazione con dispositivi e piattaforme digitali.
Alcuni di questi suggerimenti includono istruzioni puramente pratiche, come disattivare le notifiche o evitare di utilizzare dispositivi elettronici durante i pasti, altri forniscono delle indicazioni per gestire al meglio le proprie relazioni con gli altri. Un buon inizio può essere, per esempio, smettere di rispondere a chiamate e messaggi dicendo: “Scusami se ti rispondo solo ora”. In questo mondo non si fa altro che fomentare l’aspettativa di una risposta immediata, che può generare parecchia pressione. «Non c’è nessun obbligo – ricorda l’autore – che ci costringe e rispondere nel giro di pochi minuti. Meglio una risposta attenta e più lenta che una rapida e superficiale.
Tra questi 21 consigli ce ne sono alcuni a cui Alessio è particolarmente affezionato, come quello che lui definisce, prendendo in prestito il termine “triage” dal contesto ospedaliero che classifica le urgenze secondo codici bianchi (minime), gialli (medie) e rossi (massime), “il triage della comunicazione”. Il consiglio è quello di applicare la stessa logica alle comunicazioni digitali: assegnare un codice rosso alle comunicazioni urgenti per lavoro o famiglia; un codice giallo o verde per messaggi amichevoli o e-mail quotidiane che non necessitano una risposta immediata; codice bianco per notifiche push di social e app a cui si può rispondere più avanti con calma, quando si ritiene di avere il tempo per farlo. «Se assegni un codice rosso a tutto e a tutti – avvisa Alessio – vuol dire che sei tu in codice rosso».
La Generazione Z
Chi, invece, sembra avere meno bisogno di consigli per stabilire dei confini salutari tra vita privata e lavoro sono i ragazzi della Generazione Z., a cui Carciofi dedica un paragrafo del suo libro. Ad uno stipendio e un incarico tradizionale, loro sembrano preferire aspetti come la flessibilità, che comprende sia l’ufficio che il lavoro a distanza, insieme a iniziative a favore del benessere mentale e fisico. Sembrano anche prediligere posizioni di lavoro part time a quelle full time. Se questi ragazzi hanno una predisposizione naturale verso il benessere, per Alessio, è perché «precedentemente è stato loro tolto qualcosa. Sono cresciuti con la crisi del Lehman Brothers, con la crisi climatica, la crisi sanitaria da Covid-19. Hanno collezionato una mancanza di affetti molto forte e ne sono consapevoli. Quello che stanno facendo è un’inversione di marcia. Noi, generazioni precedenti, ci eravamo infilati tutti su un’auto che aveva come destinazione comune: il lavoro. Ci eravamo messi a correre freneticamente verso l’obiettivo e non facevamo nemmeno più delle pause per mettere benzina. A un certo punto abbiamo fatto salire alcuni ragazzi della Generazione Z e loro hanno tirato il freno a mano, messo le quattro frecce e ci hanno chiesto: “Dove stiamo andando?” Loro si domandano per quale motivo dovrebbero seguire un percorso identico a quello delle generazioni che li hanno preceduti, senza ottenere gli stessi vantaggi. I millennials e i babyboomers lavoravano e ottenevano delle promozioni, vivevano un’ascesa lavorativa. Oggi tutto questo non c’è e i ragazzi della Generazione Z si dicono: “Ma chi me lo fa fare?”. Hanno ragione. Loro hanno capito che la rimozione umana del benessere nel mondo del lavoro si ripercuote anche sulle relazioni interpersonali. Quindi si prendono il minimo indispensabile, cioè dei contratti part time. È uno sconvolgimento per le aziende, che non comprendono come a un contratto a tempo indeterminato se ne possa preferire uno part time».
C’è quindi molto da imparare dalle nuove generazioni, a cui viene più naturale investire nel proprio benessere. Ma un’obiezione che potrebbe sorgere spontanea di fronte ai consigli contenuti nel libro è che non si può pretendere una rivoluzione dal basso. Il cambiamento dovrebbe venire dall’alto, da chi ha il potere di cambiare una cultura del lavoro opprimente, altamente gerarchica e competitiva, e non dai singoli dipendenti che, in quanto tali, si adattano a un mondo più grande di loro, guidato da regole che non si sono scelti. «Il libro non è scritto per un pubblico corporate», precisa Alessio. «È scritto per un pubblico ampio. Certo, c’è una responsabilità aziendale che dovrebbe portare avanti una cultura del benessere, ma la consapevolezza è personale e riguarda i singoli individui, per i quali il libro vuole essere un quadro di riferimento. Mi viene detto molto spesso che i miei suggerimenti dovrei darli a qualcun altro.
Ma così è un po’ come se stessimo demandando ad altri una soluzione e una soluzione non c’è. Questo è il punto: nel momento in cui demandiamo ad altri la soluzione, abbiamo perso. Quindi, quello che possiamo fare per vincere la nostra partita è mettere in campo micro-abitudini e comportamenti. Se, per esempio, riceviamo e-mail di un capo con un certo numero di compiti da completare, possiamo provare a rispondere chiedendo quali siano i compiti prioritari e, quando lo riteniamo opportuno, riuscire a dire di no. Se ci viene continuamente detto che è tutto prioritario, una soluzione potrebbe essere quella di cercare un altro lavoro. Mi rendo conto che i problemi personali e le situazioni sono complicate e che non è sempre facile decidere di agire in questo modo, ma conoscere le regole del gioco e comprendere come ci interfacciamo con il mondo della tecnologia è un investimento di tempo, sì, ma anche di crescita personale. Si tratta di trovare delle strategie per vivere e non più per sopravvivere».
Secondo l’autore, sul piano teorico, tutti riconosciamo l’importanza dei momenti di ricarica. Nella pratica, invece, non sempre siamo consapevoli del legame tra una buona carica energetica e la qualità del nostro lavoro. Se dedichiamo troppo tempo a giornate di lavoro estenuanti, possiamo finire nella trappola del cosiddetto “fake work”, apparentemente impegnati ma senza ottenere risultati concreti. Rifiutare il senso di colpa che scaturisce quando ci si prende una pausa non significa trascurare le responsabilità, ma piuttosto comprendere che un vero equilibrio tra lavoro e vita personale non solo migliora la qualità della vita, ma arricchisce anche la qualità del nostro lavoro. Staccare e allontanarsi dai device, dalle notifiche e dalla realtà parallela in cui siamo immersi è fondamentale per perseguire il proprio benessere. Infine, per riuscirci, è bene tenere sempre a mente una delle tante raccomandazioni di Alessio: «C’è un mondo digitale che ti ricorda che sei sempre indietro. Non ci credere. Tu va’ avanti».