«Il nostro obiettivo è riconciliare l’economia con il nostro pianeta, con il modo in cui produciamo e consumiamo, e con le nostre persone». E la strada per il raggiungimento dell’ambizione di sostenibilità europea lanciata attraverso il Green Deal – la frase è del presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – è quella della circolarità. Un cambio di passo rispetto all’economia lineare, facilitato e guidato da numerosi tasselli di un sempre più complesso corpus regolatorio, i cui attori saranno aziende e consumatori. E in cui il settore Fashion giocherà un ruolo da protagonista.
Punta in questa direzione, infatti, l’accordo provvisorio tra il Parlamento europeo e il Consiglio sul regolamento per la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (Ecodesign for Sustainable Products Regulation – ESPR), raggiunto lo scorso 5 dicembre 2023. Fino ad ora, il regolamento si concentrava sui dispositivi energivori. Nelle sue stesure più recenti – successive all’estate – si è invece scelto di dare priorità a tutti i prodotti “ad alto impatto”, comprendendo i tessili (soprattutto abbigliamento e calzature), i mobili (inclusi i materassi), il ferro e l’acciaio, l’alluminio, gli pneumatici, le vernici, i lubrificanti e i prodotti chimici.
Nell’ambito del progetto di regolamento, importante menzionare l’articolo 20, dall’eloquente titolo “Distruzione dei prodotti di consumo invenduti”. Con riferimento agli invenduti, compresi i prodotti restituiti dal consumatore – punto di attenzione per il settore Fashion – il regolamento propone di imporre alle aziende di renderne noto il numero, il tipo o la categoria di prodotto, i motivi della distruzione ed il successivo fine vita, oltre a spingere le aziende ad adottare misure di prevenzione. L’ambizioso documento va oltre l’efficienza energetica e mira a promuovere la circolarità, con affondi su durabilità, riutilizzabilità, riparabilità; presenza di sostanze chimiche che inibiscono il riutilizzo e il riciclo dei materiali; efficienza energetica e delle risorse; contenuto riciclato; impronta di carbonio e ambientale ed informazioni disponibili sui prodotti, in particolare proponendone un passaporto digitale.
Il Parlamento Europeo e il Consiglio dovranno ora adottare formalmente il nuovo Regolamento. Una volta adottato, entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale in ogni Stato Membro.
Ma non c’è solo l’ESPR. I fashion brand dovranno confrontarsi con più di 35 nuovi requisiti normativi, su scala globale, nei prossimi 2-4 anni. Li mette nero su bianco un’analisi del Report “Sustainable Raw Materials Will Drive Profitability for Fashion and Apparel Brands” di Quantis, BCG e Textile Exchange presentato alla conferenza della non-profit nello scorso mese di ottobre. Di questi requisiti almeno nove avranno a che fare con normative europee. Tra queste il Regolamento Deforestazione e l’adozione della Extended Producer Responsibility, all’interno delle revisioni successive alla direttiva quadro sui rifiuti (Packaging and Packaging Waste – 94/62/EC, già modificata dalla 2018/852 nella direzione della circolarità).
È dello scorso 5 luglio, infatti, la proposta della Commissione – a seguito anche di consultazioni con tutti gli stakeholder – che intende rendere i produttori responsabili dell’intero ciclo di vita dei prodotti tessili, accelerando così lo sviluppo della raccolta differenziata di settore, lo smistamento, il riutilizzo e il riciclo dei tessili nell’UE, alleviando l’impatto della produzione sulle risorse naturali.
La Commissione propone cioè di introdurre regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR) obbligatori e armonizzati per i prodotti tessili in tutti gli Stati membri dell’UE, in relazione alla scadenza della fine 2024, già prevista. I sistemi EPR, che hanno avuto successo nel migliorare la gestione dei rifiuti di batterie e apparecchiature elettriche ed elettroniche, adottano l’approccio dell’ecomodulazione, che lega le performance ambientali dei prodotti ai costi del sistema. I produttori dovranno, in sintesi, coprire quota della gestione dei rifiuti tessili, ma riceveranno incentivi per iniziative che mirino a ridurre gli sprechi e aumentare la circolarità, progettando prodotti che mirino all’adozione di pratiche più sostenibili “ab origine”.
Questa modulazione di prezzo diventa critica nell’incoraggiare la progettazione per il riciclo, l’impiego di materiale riciclato e certificato, la progettazione per la durabilità e riparabilità di prodotto affinché, ad esempio, le materie prime seconde possano competere meglio con le materie prime, e sin degli step iniziali di design di un capo ne venga tenuto presente il fine vita. I contributi raccolti finanzieranno gli investimenti per il miglioramento delle capacità di raccolta differenziata, cernita e ri-uso, così come la ricerca e lo sviluppo di tecnologie innovative per la circolarità, come il riciclo fiber-to-fiber.
Norme comuni rispetto alla responsabilità estesa del produttore renderanno inoltre più semplice per gli Stati membri attuare l’obbligo di raccogliere separatamente i tessili a partire dal 2025.
Nell’attesa della normativa comunitaria e dei decreti attuativi nazionali, alcuni Stati hanno fatto da apripista adottando pionieristiche legislazioni nazionali. È il caso, ad esempio, della Francia, e del suo schema di etichettatura ambientale attualmente in fase di pilota, prevista come obbligatoria per il settore tessile dal 2025. Etichettatura significa anche coinvolgimento del consumatore nell’ambizione di sostenibilità del settore. Un obiettivo che l’Unione Europea si è posta a più riprese, a partire dalla visione circolare che connota la strategia per il tessile circolare (vedi The Map Report #14). Il 30 marzo 2022 la Commissione Europea aveva pubblicato anche la sua proposta di Direttiva dall’eloquente titolo “Empowering Consumers for the Green Transition” che intende modificare direttive esistenti rispetto a pratiche commerciali sleali orientate al consumatore (principalmente in riferimento alle dichiarazioni pubblicitarie, c.d. Green Claims Directive) e sui diritti dei consumatori (mirate in particolare all’obsolescenza programmata).
Con specifico riferimento alla comunicazione rispetto alle performance di sostenibilità, la scelta del legislatore va ancora una volta nella direzione dell’approccio del ciclo di vita, suggerendo di utilizzare il metodo dell’impronta ambientale del prodotto (PEF) per le dichiarazioni ambientali, che considera 16 categorie di impatto e che è destinato a giocare un ruolo di primo piano tra gli standard di riferimento in materia di life cycle assessments (LCA). Quantis, nel ruolo di Segretariato Tecnico, è alla guida di un gruppo di lavoro pan-europeo di player del Fashion in una collaborazione multi-stakeholder per l’applicazione del framework PEF ai capi di abbigliamento e alle calzature.
Vale la pena menzionare un recente paper dello European Commission’s Joint Research Centre (30 novembre 2023) che, proprio per il settore tessile, riconcilia le prospettive dei brand e dei consumatori, mettendo in evidenza che ogni anno più di 8 milioni di tonnellate di tessili usati e di scarto vengono inceneriti o mandati in discarica e che questa quota è molto superiore rispetto a quella destinata al riutilizzo, alla preparazione per il riutilizzo e al riciclo. Secondo la Commissione la domanda di fibre riciclate per la produzione di tessili entro il 2030 dovrebbe raggiungere un volume stimato intorno a 1,5 milioni di tonnellate all’anno; mentre le stime rispetto alla dimensione del mercato dei tessili gettati parlano di volumi dalle 3 alle 5 volte superiori. Ma se lato dell’offerta il documento evidenzia le “significative barriere di mercato economiche e non, comprese le limitazioni tecniche”, resta aperto il nodo della qualità – in termini di fibre riciclabili e riciclate, dell’evitamento di mescole e trimmings – rispetto ai vestiti usati.
L’Unione chiama quindi ciascuno a fare la propria parte per uscire dal paradigma di (sovra)produzione – consumo – discarica. Consumatori da un lato, imprese dall’altro. Sia, come anticipato, in riferimento al prodotto, sia per quanto riguarda le attività Corporate. Anche qui, un corpus recente ampio e strutturato che attesta la priorità e la velocità auspicata per la trasformazione in senso sostenibile del business.
Pensiamo all’accordo raggiunto tra Consiglio e Parlamento – ancora nello scorso dicembre – rispetto alla Direttiva su imprese e diritti sociali – CSDDD – relativa agli obblighi delle imprese rispetto alla protezione dell’ambiente e dei diritti umani; alla CSRD – Direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità, ed al concetto di doppia materialità – che correla l’impatto della società su ambiente ed ecosistema alla materialità finanziaria ed al rischio di impresa ed all’adozione di standard comuni di reportistica.
Nuovi progetti, consorzi, sodalizi
In Italia, in preparazione al nuovo contesto regolatorio, negli ultimi due anni hanno iniziato a fiorire consorzi ad hoc, attivati da player nazionali di primo livello e sovente con il patrocinio delle associazioni di riferimento del settore. Gli eventi del settore Fashion hanno, infatti, nello scorso biennio assistito al lancio di successivi sodalizi dedicati.
Sistema Moda Italia (Smi) ha lanciato Retex.Green in occasione di Pitti Uomo 2022. Fondatori marchi quali Canali, Herno, Inticom, Marzotto, Radici. La Camera Nazionale della Moda Italiana (Cnmi) durante la prima edizione del Venice Sustainable Fashion Forum (2022) aveva annunciato la guida di Re.Crea; soci fondatori Dolce&Gabbana, MaxMara Fashion Group, Gruppo Moncler, Gruppo OTB, Gruppo Prada, Ermenegildo Zegna Group. Ed ancora Cobat Tessile, Ecotessili, Erion Textiles – soci fondatori Amazon, Artsana, Essenza, Miroglio Fashion, Rimoda Lab e Save The Duck – e Rematrix, promosso ad Ecomondo 2023.
Un’ottima prassi di settore di aggregazione e di attenzione all’ottica EPR arriva da Euratex, ed i suoi 43 partner di settore da 11 regioni europee, Italia compresa. Senza dimenticare, in prospettiva europea, progetti co-finanziati dall’Unione, quale T-rex che da 3 anni, grazie alla collaborazione di 12 attori di filiera intende dimostrare la fattibilità e la profittabilità del business model del riciclo tessile.