La Francia si appresta a dare un segnale forte nella guerra all’industria della moda “usa e getta”, responsabile di provocare un forte impatto sull’ambiente e di non rispettare le condizioni dei lavoratori. Lo scorso 14 marzo, l’Assemblea nazionale francese ha approvato una proposta di legge per tassare i capi a bassissimo costo dei produttori che commercializzano i loro capi nel Paese e vietarne la pubblicità su Internet. I rivenditori saranno inoltre obbligati a veicolare messaggi di sensibilizzazione che promuovano il riutilizzo e la riparazione dei prodotti venduti online.
Secondo la nuova proposta, che dovrà ora passare al vaglio del Senato, il sovrapprezzo legato all’impronta ecologica sarà di 5 euro dal 2025 e salirà gradualmente per arrivare fino a 10 euro per ogni capo di abbigliamento entro il 2030, sul modello della tassa già prevista in Francia per le automobili più inquinanti. In ogni caso il sovrapprezzo non potrà superare il 50% del prezzo di un articolo e il “bonus-malus” sarà ridistribuito soprattutto tra i produttori di moda sostenibile.
L’obiettivo è quello di disincentivarne la vendita e l’acquisto di capi fast fashion e, secondo un disegno più ampio a cui la Francia lavora da diversi anni, tutelare l’industria tessile locale (che non sta attraversando un periodo positivo).
Nell’ottica di educare i francesi ad un consumo più responsabile e cercare di ridurre lo spreco di capi d’abbigliamento, la Francia aveva già lanciato il cosiddetto “bonus riparazione”, un fondo di riparazione tessile (Fonds Réparation Textile) grazie al quale viene applicato uno sconto tra i 6 e i 25 euro a tutti coloro che fanno riparare i propri capi presso sartorie e calzolerie aderenti all’iniziativa.
Il nuovo disegno di legge prevede tre articoli, il primo dei quali riguarda le piattaforme di e-commerce che commercializzano articoli di fast fashion e che dovranno inserire accanto al prezzo, messaggi volti a incoraggiare le pratiche del riuso e della riparazione oltre a fornire informazioni sull’impatto ambientale.
Si stima che tramite l’e-commerce, l’industria del fast fashion sforni in media 7.000 offerte al giorno, un mercato che produce 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti in abbigliamento e calzature all’anno, dodici chili a cittadino, oltre a impegnare circa 100 miliardi di metri cubi d’acqua.
Gli altri due articoli della legge si riferiscono all’applicazione della tassa secondo il principio della responsabilità estesa del produttore e alla limitazione della pubblicità che incoraggia l’acquisto di abiti e accessori prodotti da brand di fast fashion.