Sous les pavés la plage! “Sotto il pavé c’è la spiaggia” è stato uno degli slogan più noti del Sessantotto francese e suggeriva l’idea che fosse sempre possibile scorgere un orizzonte inatteso e diverso sotto la pelle delle cose, guardando oltre i divieti e le barriere imposte dalla cultura dominante. Era un invito a praticare l’immaginazione, come capacità di guardare oltre il modo in cui la realtà si dà e ci appare. Siamo ancora capaci di vedere la spiaggia sotto al pavè delle città? Quali sono regole scritte e non scritte che le rendono così rigide e immodificabili?
“Non entrare e non bussare” leggo scritto sulle porte di un corridoio cieco, scandito da ingressi tutti uguali e ravvicinati, ciascuno per un diverso ambulatorio medico. Il monito si ripete ad ogni porta e struttura la disposizione dei corpi, le azioni, il mandato.
“Spegni il cellulare e stai zitto” leggo scritto sullo schermo del cinema all’inizio della proiezione, con un monito che – pur nella presunzione dell’ironia – suona di fatto minaccioso anche nelle piacevolezze del tempo libero. Vietato giocare a pallone, vietato il passaggio alle biciclette, vietata la consumazione di cibo per strada. È vietato. Quanto siamo distanti da quel “vietato vietare”, che pure aveva animato una generazione di ragazzi insofferenti ai divieti ed ai confini rigidi.
Dispositivi di negazione agiscono continuamente negli spazi che abitiamo e nascondono, cancellano, rimuovono. Chiudono, sigillano, oscurano. Confinano, isolano, separano. Immunizzano, precludono, sterilizzano. Di volta in volta è precluso il gioco ai bambini nei cortili condominiali, l’assembramento davanti a un locale, sedersi sui gradini del sagrato di una chiesa o dormire nello spazio pubblico su una panchina (anche se non hai un tetto), l’accesso ad un parco nelle ore serali, la vista al pubblico di una mensa per i poveri. O, per dirla con il suo rovescio, è proscritto il gioco, il vociare, il sedersi, il movimento, il sonno, la seduta, la povertà, le relazioni tra adolescenti.
SE NON CONSUMI, NON ESISTI
Non è solo ansia normativa e di controllo che determina tutti questi divieti, c’è dietro un’idea di città del consumo e a pagamento, che seleziona i propri cittadini, esclude, distingue, separa. I centri urbani debbono apparire ordinati e puliti, come fossimo dentro un enorme centro commerciale, la movida disciplinata e contenuta negli spazi del commercio, via i ragazzi che occupano gli spazi pubblici senza consumare, lontano dalla vista di cittadini e dei turisti i più poveri. In questa prospettiva possono essere letti i provvedimenti pubblici e le ordinanze che limitano i movimenti delle persone (dai primi Daspo urbani formulati dall’ex ministro Minniti del 2017 ai più recenti, ma identici per logica e cultura, decreti anti-rave).
Nella logica del decoro la città stessa gioca un ruolo cruciale, si negano in modo sistematico gli spazi di socialità che nascano fuori da un circuito commerciale, si sgomberano gli spazi occupati, si investe in modo massiccio in video-sorveglianza e lo spazio pubblico viene inibito ai ragazzi, ai non consumatori, ai poveri, ai senza-tetto.
Qui sta tutta la negazione dell’idea stessa di urbanità che, come dicevamo, è stata la cifra vincente delle città europee, una dimensione legata all’ospitalità dei luoghi, una predisposizione ad accogliere e facilitare le relazioni umane, lo scambio e la comunicazione tra diversi. Una dimensione legata alla qualità della convivenza civile, ad un’idea di cittadinanza inclusiva e tollerante.
Ma se perdiamo questa urbanità che cosa rimarrà della nostra secolare cultura civile? Sono i comportamenti a fare belle le città, prima dei monumenti e delle piazze restaurate in stile. Ma dove si formano i nostri habitus da cittadini? Dove cresce in noi l’attitudine alla relazione e alla cooperazione? Dove diventiamo animali politici e civili?
I ragazzi interiorizzano fin da piccoli che le città sono circoli a pagamento nei quali bisogna pagare per muoversi, per sedersi, per mangiare, per divertirsi, per fare sport, per trascorrere il tempo libero. Sedersi. Sedersi all’ombra, bere da una fontana, giocare a palla in un cortile, fare un pic nic in un parco urbano, giocare per strada senza pericoli, sono tutte attività sempre più rare e sempre più difficili da trovare nelle città.
Ci sono bellissime località balneari o lacustri dove si paga tutto: il parcheggio se si arriva in auto, la tassa di soggiorno, l’albergo, l’ingresso nella stazione balneare e l’affitto di sdraio e lettino, i pranzi e le cene, e così via. Tutto ha un costo, anche l’accesso al mare. Lo stesso accade nelle città d’arte o nelle grandi metropoli. Me ne accorgo quando viaggio insieme ai miei studenti quando, dovendo ridurre le spese, i luoghi dove non si paga diventano fondamentali: i sagrati delle chiese, neppure tutti, gli interni freschi e ombrosi delle cattedrali, quando l’ingresso non è a pagamento pure quello, i giardini pubblici e i parchi urbani, ma soltanto in alcune ore del giorno. Nelle stazioni sono sempre più rare anche le sale d’aspetto gratuite dove sedersi in attesa di un treno. Se sono in viaggio e ho bisogno di un bagno, devo consumare qualcosa in un bar. Se un gruppo di ragazzi vuole incontrarsi cerca un posto comodo per un aperitivo, una pizzeria, un locale. Tutte cose ovviamente bellissime e salutari per l’economia del luogo e la vocazione turistica delle città, meno per il portafoglio e la qualità della vita. Non di solo consumo possono vivere i cittadini e i turisti.
ZONE DI NON CONSUMO O DELLA FELICITÀ DELLO SPAZIO APERTO
Bisognerebbe riscrivere una grammatica del possibile, di quello che si può e si deve fare gratuitamente (e pare surreale pure doverlo scrivere in corsivo) nello spazio pubblico.
Dovremmo individuare luoghi dove le cose si possono fare e scriverlo a caratteri cubitali: in questo cortile si può giocare a palla. In questo bar puoi studiare tutto il pomeriggio. In questo parco puoi fare sport da solo o in gruppo. Sul sagrato di questa Chiesa puoi sederti con gli amici e bere una birra. Questo fiume che attraversa la città è balneabile e puoi fare il bagno quando vuoi. In questo forno all’aperto puoi venire a cuocere il pane da casa. Questa biblioteca è aperta anche di sera e ci puoi venire con gli amici a giocare. Dopo le 20.00 i mezzi pubblici sono gratuiti per i ragazzi.
(nota bene: sono tutti slogan raccolti da casi veri).
La cultura civile di una città si potrebbe misurare contando tutte quelle cose che si possono fare senza pagare e tutti quei posti in cui si può stare gratuitamente. Zone di non-consumo o ad accesso libero. Sopravvivono rare anche nelle nostre città, ma non è difficile fare la conta. Se affiniamo lo sguardo potremmo allungare l’elenco con le bocciofile di periferia, gli oratori, le isole pedonali (ma solo se hanno panchine all’ombra degli alberi), i parchi giochi per i bambini ma solo se ombrosi e in terra battuta o prato, e così via. Le panchine all’ombra sono così rare dovunque da pensare di doverle candidare davvero a patrimonio Unesco.
Basta tuttavia però mettere il naso fuori Italia per vedere quanto le città potrebbero fare per migliorare gli spazi liberi, gratuiti e accessibili dei loro cittadini: si tratta di zone dedicate al tempo libero come a Zurigo che ha la più alta densità di stabilimenti balneari al mondo; a Graz puoi giocare lungo il fiume Mura, a pallavolo in campi affacciati sul fiume. A Utrecht si può stare sulla spiaggia urbana di Soia, nel quartiere Oog in Al; a Praga nella spiaggia urbana Žluté Lázně (Terme Gialle), sulla Moldava. Quest’ultima, situata nel quartiere Podolí, è una enorme riserva naturale con prati, zone a sabbia, campi sportivi polifunzionali ed eventi musicali e culturali per tutta la stagione estiva. A Vienna c’è una spiaggia libera con area balneabile, docce gratuite e il trampolino galleggiante più grande del mondo.
L’accesso gratuito può riguardare la mobilità. In Spagna i treni regionali sono gratuiti ancora per tutto il 2023, per facilitare il ritorno a usare i mezzi pubblici dopo la pandemia; a Tallin i trasporti pubblici sono gratuiti per i residenti dal 2013 (70 linee di autobus, 4 tram e 5 filobus), a Bruxelles i trasporti sono gratuiti in una parte del perimetro urbano venerdì e sabato. A Singapore sono gratuite alcune tratte più popolate della metropolitana, prima delle 7.45: per decongestionare la metropolitana nell’ora di punta mattutina.
Dal dicembre 2021 Genova ha cominciato a rendere gratuito il sistema di trasporto pubblico su funicolari e ascensori che in una città verticale rappresentano una soluzione importante per gli abitanti dei quartieri collinari. Il trasporto dall’alto verso il basso e viceversa ha registrato un aumento medio del 33% dei passeggeri. I trasporti verticali sono già gratuiti sette giorni su sette in ogni fascia oraria, mentre la sperimentazione free ha coinvolto anche la rete della metropolitana sotterranea nelle fasce più affollate, dalle 10 alle 16 e dalle 20 alle 22.
Anche sport e cultura possono rientrare tra le attività da rendere accessibili a tutti o ad alcuni gruppi sociali particolari. Modena, Barcellona, Dublino, Budapest, Firenze, Londra, Siviglia, Mexico City, Parigi, Lisbona, Praga hanno avviato i “Free walking tour”, passeggiate a offerta volontaria con guida per la città. PasSporTo è un progetto promosso dall’Assessorato allo Sport di Torino, rivolto ai ragazzi e alle ragazze torinesi dai 14 ai 19 anni che offre attività sportive, accessi agli impianti totalmente gratuiti e visite mediche a prezzi agevolati.
“LET’S BREAK IT UP!”: FACCIAMOLO A PEZZI
Le rigidità delle città non riguardano solo la privatizzazione progressiva degli spazi pubblici. Possiamo mettere in discussione l’assetto e la forma stessa dei contesti urbani, provando a scorgere inedite possibilità d’azione. Sotto l’asfalto c’è la spiaggia: doveva proprio avere in mente lo slogan del maggio francese Andreas Kipar quando qualche anno fa ha lanciato il motto “Let’s break it up!”, rompiamo, facciamo a pezzi l’asfalto, ritroviamo la natura che abbiamo seppellito sotto kilometri di asfalto. Rompiamo quel guscio impermeabile che copre le città. Abbiamo interiorizzato che l’asfalto possa essere l’unica pelle possibile delle nostre città dimenticando quello che sta sotto, il suolo, lo sterro, con le sue infinite possibilità di generare biodiversità urbana, di promuovere nuovi equilibri ecologici e soprattutto di assorbire l’acqua piovana o il calore in eccesso.
La pelle delle città fatta di materiali duri, di cemento, di asfalto, di pietra, di lamiere, amplifica la radiazione solare riflessa da queste superfici, accresce la percezione di calore da parte delle persone e quindi i danni sulla loro salute o impedisce all’acqua di venire assorbita facilitando inondazioni anche nei centri abitati.
Per questo motivo oggi dobbiamo lavorare sulla natura spugnosa e umida dei suoli (sponge cities), per renderli capaci di reagire agli eventi climatici estremi e di utilizzare con lungimiranza le risorse idriche a disposizione. Passare da un centro urbano impermeabile, ricoperto di asfalto e cemento, a una città con superfici naturali, verdi, porose dove è più probabile che l’acqua venga assorbita, richiede di de-pavimentare e de-impermeabilizzare là dove è possibile farlo, tornando al suolo libero e naturale. Alberi, verde pensile, aiuole, parchi, stagni o laghi, ma anche strade sterrate, sabbia e altre superfici permeabili in grado di assorbire velocemente l’acqua e rallentare il deflusso superficiale, assolvono certamente ad una funzione ecosistemica e aiutano a contrastare gli effetti della crisi climatica sulle città ma al contempo possono alimentare una nuova idea di bellezza, di salute, di benessere urbano.