Comunicare la crisi climatica – e i suoi effetti – non è un compito facile: è necessario affrontare problemi molto complessi con competenza oltre che con creatività e onestà intellettuale. Per il comunicatore che non ha le conoscenze necessarie è importante coinvolgere chi le possiede e soprattutto chiedersi se il messaggio che propone riesce a produrre un reale cambiamento. L’emergenza climatica è una delle più grandi sfide nella storia dell’uomo: anche per questo la comunicazione deve avere l’ambizione di contribuire alla reale modifica dei comportamenti delle persone e delle organizzazioni se vuole avere un ruolo trasformativo.
Il compito del comunicatore
Uno dei principali compiti dei divulgatori, ma anche dei comunicatori, è semplificare gli argomenti difficili: se un messaggio è destinato ad un pubblico non specialistico bisogna impegnarsi a renderlo il più possibile comprensibile. Quando si parla di sostenibilità e si deve affrontare il problema della crisi climatica bisogna considerare non solo la complessità dell’argomento ma anche saper connettere la dimensione ambientale con quella sociale ed economica.
Chi comunica deve ricordare i problemi ma indicare anche le possibili soluzioni e sottolineare il ruolo che ognuno può avere nel percorso – a volte lungo e difficile – verso lo sviluppo sostenibile. Per farlo è utile indicare azioni concrete in grado di ingaggiare le persone: solo così è possibile passare dalla consapevolezza al cambiamento del comportamento.
“C” come Crisi, “C” come Concretezza
Negli ultimi tempi molte organizzazioni – istituzioni, imprese, Enti del Terzo Settore – hanno iniziato a inserire nella loro comunicazione riferimenti alla crisi climatica e agli impatti che ne derivano. Nel farlo hanno capito che la concretezza, oltre che la coerenza, sono ormai considerate prerequisiti: per questo oggi, più che in passato, è necessario comunicare solo quello che conta veramente facendo leva su esempi concreti che hanno portato risultati misurabili.
Ricordiamo sempre che la sostenibilità è un percorso in divenire: meglio quindi comunicare con onestà il non raggiungimento di un obiettivo piuttosto che nascondere criticità o insuccessi.
In generale, per essere credibile la comunicazione deve utilizzare parole chiare, immagini efficaci, esempi facilmente decodificabili dal pubblico. Naturalmente senza mai banalizzare i problemi ma evidenziando i risultati positivi che si possono ottenere grazie all’impegno di tutti.
Ma anche “C” come Creatività
Come afferma Edward De Bono (psicologo e saggista diventato famoso per aver inventato il concetto di “pensiero laterale”) la creatività è senza dubbio la risorsa umana più importante. Senza creatività non ci sarebbe progresso e ripeteremmo sempre gli stessi schemi. Essere creativi significa accettare le sfide, mettersi in gioco, creare nuove connessioni: purtroppo quando la comunicazione ha affrontato i temi della crisi climatica non sempre ha saputo proporre in modo nuovo problemi e possibili soluzioni.
Da non dimenticare che dati e informazioni sono importanti ma da soli non riescono a stimolare un reale cambiamento: bisogna farsi aiutare quindi dalla creatività se si vuole arrivare alla testa ma anche al cuore delle persone. Non va sottovalutato il ruolo che le emozioni giocano nei processi decisionali: una campagna creativa può, per esempio, convincere un consumatore a scegliere un prodotto o un servizio ma anche aiutarlo a vedere le cose da un altro punto di vista e suggerire soluzioni mai considerate prima.
Il ruolo della comunicazione d’impresa
Oggi nella comunicazione commerciale iniziano ad essere presenti messaggi finalizzati a valorizzare l’impegno dell’impresa, non solo la qualità del prodotto o del servizio. Molte aziende (che sanno di essere in parte causa del problema) hanno capito quanto è importante raccontare le iniziative messe in atto per ridurre l’impatto della loro attività sull’ambiente e sul clima.
In questa fase di transizione ecologica le organizzazioni che hanno fatto della sostenibilità un driver strategico assumono anche un ruolo “educativo”: per esempio ricordando il corretto uso del prodotto o fornendo indicazioni sul suo smaltimento a fine vita.
Per non essere accusata di greenwashing, cioè di un ecologismo di facciata, la comunicazione commerciale deve evitare l’eccessiva enfasi e cercare un giusto mix tra parole, immagini, numeri.
Per concludere
La comunicazione può contribuire al cambio culturale che la situazione richiede ma deve essere gestita in modo professionale e quando affronta il tema della crisi climatica deve sottolineare il contributo positivo che l’organizzazione ha portato all’ambiente e alla vita delle persone.
In uno scenario dove i media propongono spesso immagini dei disastri causati dalla crisi climatica è ancora più importante ricordare la responsabilità individuale: tutti siamo chiamati a contribuire al cambiamento perché con i nostri comportamenti possiamo “fare la differenza”.
Ma è necessario cambiare registro ed essere capaci di innovare strumenti e linguaggi: l’ambiente, il clima, l’economia e la società devono essere considerati come parti inscindibili della stessa entità.