Il progressivo abbandono delle carriere scientifiche da parte delle donne è un fatto talmente evidente che esiste un’espressione ad hoc per descrivere il fenomeno: “leaky pipeline”, letteralmente “tubo che perde”. Il tubo rappresenta metaforicamente le discipline scientifiche, mentre la perdita indica il numero di donne che abbandonano gli studi. Infatti, sebbene siano sempre di più le donne che decidono di iscriversi in università per studiare materie STEM (Science, Technology, Engineering e Mathematics) , solo un numero esiguo di queste raggiunge la fine del percorso, arrivando a ricoprire posizioni rilevanti nell’ambito scientifico.
Ma a ben guardare, si tratta di una tendenza che riguarda tutto il mondo accademico, non soltanto quello scientifico. Lo evidenzia un recente studio intitolato Unveiling the gender gap: exploring gender disparities in European academic landscape e condotto da alcune ricercatrici dell’Università Cattolica di Milano: Sara Farina, Raffaella Iafrate e Stefania Boccia.
“Sebbene le donne abbiano raggiunto la parità nel livello di istruzione, detenendo a livello globale il 45-55% dei diplomi di laurea e di master, si legge nello studio, la discrepanza di genere nell’avanzamento della carriera accademica si sta ampliando”. Come rilevato dall’Istituto di statistica dell’UNESCO, le donne costituiscono circa il 33% dei ricercatori in tutto il mondo, ma questo numero rientra tra i ruoli professionali più penalizzati da quel fenomeno conosciuto come “soffitto di cristallo”.
“In Europa, nonostante le donne rappresentino quasi la metà delle posizioni di grado C, le posizioni di grado A, che includono i professori ordinari e i direttori di ricerca, contavano solo il 26,2% di donne nel 2018, con un miglioramento minimo rispetto al 24,1% del 2015”, scrivono le ricercatrici. “Questa disparità è particolarmente evidente nel settore scientifico: mentre nelle discipline umanistiche, le donne nella categoria A superavano il 30% nel 2018, nei campi delle Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica (STEM), le cifre scendono al 22% nelle scienze naturali e al 17,9% nell’ingegneria e nella tecnologia”. Nelle discipline umanistiche, invece, le donne nella categoria A superavano il 30% nel 2018, nei campi delle Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica (STEM), le cifre scendono al 22% nelle scienze naturali e al 17,9% nell’ingegneria e nella tecnologia.
Le cause di un così marcato gender gap nel settore accademico sono molteplici: dalle limitate opportunità di networking agli ostacoli legati all’equilibrio tra vita professionale e familiare che impediscono alle donne di avanzare verso posizioni di rilievo nell’ambito accademico e della ricerca; dalla natura impegnativa delle carriere accademiche che si scontra spesso con le responsabilità familiari che grava maggiormente sulle spalle delle donne alla scarsità di modelli di ruolo e mentori femminili di successo in posizioni di spicco, che ha un impatto negativo sulla fiducia e l’ambizione delle donne nel perseguire una carriera accademica.
Negli ultimi anni, per arginare il fenomeno l’Unione Europea ha messo in campo numerose iniziative, tra cui il programma Horizon Europe, che mira a raggiungere un equilibrio di genere nei team di ricerca e a combattere i pregiudizi nelle questioni che riguardano il finanziamento dei progetti di ricerca. Numerose università europee e istituti di ricerca hanno poi attuato piani per la parità di genere, programmi di mentoring e sponsorizzazione mirati alle ricercatrici, e pratiche di reclutamento e promozione inclusive.
Sono emerse anche piattaforme collaborative per consentire a ricercatori, responsabili delle politiche e stakeholder di scambiare conoscenze, di condividere le “best pratice” per incoraggiare la parità di genere. Esistono poi delle iniziative livello globale, come Women in Science e l’European Institute for Gender Equality.