Secondo i dati deIl’EngagementMonitor condotto quadrimestralmente dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB, nel 2023 un terzo dei cittadini italiani non ha fiducia nella scienza, e il numero sale tra coloro che hanno una minore scolarizzazione. Perché?
Il progresso tecnologico della nostra epoca si qualifica non solo per la generazione di prodotti avveniristici, ma anche per la produzione di conoscenze scientifiche sempre più raffinate ed avanzate. Il ventunesimo secolo è definito come l’era della conoscenza dove il sapere tecnico è considerato la condizione di base per il progresso e il benessere. Siamo dunque in un’era nella quale la conoscenza degli “esperti” assume un valore culturale, economico e politico ed è il fulcro dei processi di funzionamento della società stessa. Tuttavia, gli orientamenti dell’opinione pubblica verso le scoperte scientifiche costituiscono uno dei principali fattori che ne può decretare il successo. Paradossalmente, però, l’estrema valorizzazione del sapere tecnico nei dibattiti e nelle decisioni che regolano il vivere comune rischia di chiudere a priori il dialogo con il pubblico e di porre le basi per scetticismo e sfiducia. Quando gli “esperti” tendono a confinare i “laici” nella posizione di meri spettatori di un processo innovativo non si creano le condizioni per aprire un rapporto di fiducia con la società, con la pericolosa conseguenza del rifiuto dell’innovazione stessa.
La questione non è determinare una gerarchia di saperi, bensì individuarne possibili complementarietà e sinergie. Il “sapere laico” è ciò che regola i comportamenti spontanei degli individui e ne permette l’adattamento al contesto di vita. Opporre in modo antitetico il pensiero logico-razionale della scienza al pensiero “laico” porta a uno scontro di prospettive e punti di vista che rischiano di diventare sempre più inconciliabili.
Per ricucire la frattura tra scienza e società è necessario in primis partire dal presupposto che il sapere esperto e il sapere laico non dovrebbero essere letti in termini di opposizione né in termini di oscillazione e sbilanciamento a favore dell’uno e dell’altro. Il sapere laico offre una prospettiva diversa e ugualmente importante sulle questioni sociali e necessita di essere ascoltato e compreso per un’efficace collaborazione con il sapere esperto.
Se è pur vero che gli scienziati dovrebbero rivedere la loro posizione di snobismo intellettuale e valorizzare maggiormente il portato del sapere esperienziale delle persone, dall’altra parte non possiamo sottacere la drammatica ignoranza che affligge la nostra società, impreparata sia in termini di quell’alfabetizzazione scientifica di base – conditio sine qua non per comprendere i processi e i criteri di validità a cui la ricerca e le scoperte soggiacciono – sia di pensiero critico circa le fonti di informazione. Il pensiero o i pregiudizi verso le scoperte scientifiche nascono spesso dalla non comprensione da parte dei cittadini dei tempi in cui si sviluppa uno studio, dalla non accettazione dello stato di incertezza entro cui gli scienziati si muovono per sviluppare le loro indagini oltre che dalla non tolleranza psicologica della naturale frustrazione che si prova davanti a casi non confermativi delle ipotesi, agli eventuali errori e intoppi pragmatici che possono accompagnare il percorso della ricerca scientifica.
Se per una buona relazione tra scienza e società risulta urgente investire nell’alfabetizzazione scientifica della popolazione, dall’altra parte è fondamentale favorire spazi di dialogo e collaborazione tra cittadini ed esperti. Scienza e società necessitano di percepirsi e agirsi come alleati verso un fine comune e condiviso: quello della sostenibilità, della cura del pianeta e delle persone. Lavorare insieme e co-generare obiettivi di sapere e di cambiamento appare la chiave per riformare la relazione di fiducia tra scienza e società.