“L’Italia è il Paese del vento e del sole, ma non sembra credere nelle sue potenzialità”. Così il presidente nazionale di Legambiente, Stefano Ciafani, commenta il lungo iter burocratico che in Italia rallenta l’installazione di impianti a energia rinnovabile. Ad oggi nel nostro Paese ci vogliono circa 6 anni per ottenere l’autorizzazione di un impianto di energia rinnovabile, contro la media europea di due anni.
“Nel caso del primo parco eolico offshore del Mediterraneo, quello di Taranto, ci sono voluti addirittura 14 anni segnati da ritardi e ostracismi istituzionali”, continua Ciafani. “Dall’altro lato il nostro Paese continua ad investire sulle fonti fossili come dimostra l’accelerazione sui rigassificatori a Piombino e Ravenna con procedure autorizzative semplificate ridotte a sei mesi”.
Per queste ragioni, Legambiente, insieme ad Anev, l’Associazione nazionale energia del vento, chiede al governo Meloni di accelerare il processo di installazione di energie rinnovabili. E lo fa attraverso cinque proposte: 1. Adeguamento normativo e delle linee guida sulle FER per accelerare i processi autorizzativi, renderli più trasparenti e certi nei tempi; 2. Prevedere processi di partecipazione e di ascolto per la realizzazione degli impianti; 3. Definizione delle aree idonee funzionale agli obiettivi da raggiungere al 2030; 4. Innalzare, di almeno 6 GW, gli obiettivi di diffusione dell’eolico a mare indicati dal nuovo PNIEC; 5. Introdurre una cabina di regia per la presentazione e la realizzazione degli impianti.
L’appello congiunto di Legambiente e Anev è stato lanciato in occasione della XII tappa della campagna itinerante “I cantieri della transizione ecologica”, arrivata in provincia di Avellino per fare il punto sullo sviluppo di queste rinnovabili sulla dorsale appenninica e sull’importanza delle attività di “Repowering” e di “Revamping”, a partire dall’impianto eolico di Aquilonia del gruppo IVPC.
Una scelta non casuale quella di far tappa in Campania, terza regione in Italia per potenza installata, con i suoi oltre 1,7 GW, e che rappresenta la seconda per produzione annua, grazie ai 3,7 TWh di energia elettrica prodotta nel 2021. Una regione – come sintetizza Legambiente nel report campano “Qual Buon Vento” – che vanta sul suo territorio 625 impianti con oltre 1200 turbine e dove l’eolico è la prima tecnologia rinnovabile elettrica, davanti a fotovoltaico, bioenergie e idroelettrico. La provincia di Avellino e di Benevento sono quelle che hanno il maggior numero di comuni coinvolti da installazioni di eolico – rispettivamente il 44% e il 36% (seguite da Salerno con il 12,18% e poi da Caserta e Napoli con appena l’1,18% e addirittura lo 0,06%) – e sono le due province capofila con nuovi impianti installati dal 2021 per una potenza totale pari a quasi 28MW. Qui soffiano i venti più forti e le installazioni danno i risulti migliori, divenendo sempre più efficaci grazie a innovazione e moderne tecnologie. Avere degli impianti al passo con i tempi e in linea con le più moderne tecnologie è fondamentale. Per questo è importante semplificare i processi di ammodernamento degli impianti esistenti. Il “Revamping” prevede la sostituzione solo di alcuni componenti (ad esempio le pale, il sistema di controllo e gestione, gli anemometri etc.) che risultano obsolescenti o usurati, per migliorare le performance di impianto, senza modificare però il numero di turbine, mentre il “Repowering” prevede la sostituzione dell’intera turbina eolica con una nuova di taglia superiore, di maggiori dimensioni e con maggiore produzione di energia elettrica.
Inoltre, il presidente di Anev mette in evidenza i limiti che riguardano le linee guida per l’installazione degli impianti eolici, contenute nel decreto del ministro Pichetto Fratin che definisce i criteri di individuazione delle aree idonee ad ospitare gli impianti di energia rinnovabile nelle singole regioni. “Sono molti anni che chiediamo sempre le stesse cose: semplificazione dei processi autorizzativi, norme chiare e trasparenti, meccanismi di sostegno adeguati agli obiettivi nazionali”, dichiara il presidente di Anev Simone Togni. “Infatti se da un lato abbiamo obiettivi settoriali importanti, dall’altro non vengono predisposti quegli strumenti minimi per raggiungerli. Bisogna definire criteri trasparenti da parte delle Soprintendenze, soddisfatti i quali sia certo l’ottenimento del parere positivo, oggi è troppo discrezionale il processo. Inoltre è inconcepibile il motivo per il quale nel decreto aree idonee l’eolico viene penalizzato con una distanza minima di 3 km dalle aree sensibili contro i 500 metri del fotovoltaico. Questa distanza semplicemente non consente di raggiungere alcun obiettivo in quanto non rende idonee aree adeguate”.