Sul fronte della sostenibilità, la moda italiana risulterebbe ancora in ritardo rispetto agli standard internazionali. A sottolinearlo è il Report Moda e Sostenibilità 2023 realizzato da Cikis, una società italiana specializzata in ricerca e consulenza sulla sostenibilità nel settore moda. Il rapporto si basa su insight qualitativi e dati strutturati provenienti da un campione di 36 brand e 44 aziende della filiera, tutti italiani e con un fatturato superiore a un milione di euro.
Oggi, è possibile confrontare il livello di sostenibilità delle aziende italiane con quello delle controparti internazionali grazie a criteri scientifici condivisi che servono a valutare l’efficacia delle misure intraprese dai brand e a definire soluzioni chiave per ridurre l’impatto ambientale.
“In Italia – spiega Serena Moro, Founder di Cikis -, c’è una scarsa consapevolezza del fatto che i materiali naturali non siano necessariamente una scelta sostenibile. Tuttavia, i problemi non riguardano solo i tessuti. Dobbiamo concentrarci sull’efficienza energetica lungo tutta la catena del valore e sull’implementazione di pratiche di economia circolare. Queste misure potrebbero permettere di risparmiare 336 milioni di tonnellate di emissioni di gas entro il 2030, circa il 32% di quanto richiesto dall’Accordo di Parigi”.
Mentre il Report Material Change Insight 2022 di Textile Exchange rivela che l’uso dei cosiddetti “tessuti preferred” (fibre o materie prime che offrono costantemente impatti ridotti e benefici per il clima, la natura e le persone rispetto all’equivalente convenzionale) da parte dei brand di moda internazionali sta crescendo anno dopo anno, con l’Europa in particolare in testa in termini di materiali sostenibili (rappresentando il 69% del totale in termini di distribuzione geografica), la situazione italiana appare meno positiva. Dall’indagine di Cikis emerge infatti che, sebbene l’81,2% delle aziende di moda italiane dichiari di utilizzare materiali a basso impatto ambientale (un notevole aumento rispetto al 48% dell’anno precedente), solo il 61,5% ha effettivamente incluso tessuti preferred nelle collezioni del 2022. Sebbene ci sia un miglioramento rispetto all’anno precedente, la quantità di materiali sostenibili utilizzati nelle collezioni del 2021 e 2022 non è cambiata significativamente.
A conferma della scarsa consapevolezza sul fatto che i materiali naturali non siano automaticamente sostenibili, l’84% delle aziende italiane che dichiara di utilizzare materiali a basso impatto ha classificato tutti i materiali naturali come preferred. Tuttavia, è importante sottolineare che i termini “naturale” e “preferred” (o “sostenibile”) non dovrebbero essere confusi. Il processo di produzione di alcune fibre naturali, infatti, può avere impatti ambientali significativi.
Il cotone riciclato proveniente da agricoltura rigenerativa o biologica, per esempio, è preferibile al cotone convenzionale tra le fibre naturali. Tra le fibre artificiali, quelle riciclate, ottenute dalla cellulosa di foreste gestite in modo responsabile e tramite processi chimici a ciclo chiuso, sono preferibili alle alternative vergini. Anche tra le fibre sintetiche, il poliestere riciclato, il nylon rigenerato e le alternative bio-based sono scelte da preferire.
Per quanto riguarda i tessuti di origine animale, come la lana, la lana riciclata o la lana vergine certificata sono classificate come preferite. Tuttavia, tra queste opzioni, alcune presentano un impatto ambientale inferiore rispetto ad altre. Pertanto, le aziende dovrebbero sviluppare un ranking dei materiali per guidare la scelta delle opzioni più sostenibili.
Un altro aspetto importante riguarda l’uso di energia rinnovabile. Mentre il 50% delle aziende di moda italiane ha investito in impianti di energia rinnovabile nell’ultimo anno, segnando un aumento del 31,6% rispetto al 2022, il confronto con i benchmark internazionali mostra che c’è ancora molta strada da fare. Secondo UN Climate Change, le aziende di moda dovrebbero utilizzare energia rinnovabile in tutte le loro operazioni per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050. Tuttavia, i risultati del report di Cikis indicano che l’86,2% delle aziende italiane ha una bassa o addirittura nulla collaborazione con i fornitori per ridurre l’impatto energetico.
Infine, in merito alle pratiche di economia circolare, solo il 13,8% dei brand di moda in Italia sta adottando misure in questo settore, rispetto al 73% delle aziende a livello internazionale. Questo dato, sebbene migliore rispetto all’anno precedente, evidenzia la necessità di un maggiore impegno nel promuovere pratiche che possano estendere il ciclo di vita dei prodotti, come il noleggio, la rivendita, la riparazione e la rifabbricazione di indumenti.
“Le aziende italiane devono intraprendere azioni concrete e misurabili per ridurre il proprio impatto ambientale e comunicarlo in modo accurato, evitando il greenwashing. Il nostro studio dimostra che oltre il 36% delle aziende trova complesso implementare strategie di sostenibilità, ma allo stesso tempo, le aziende che si affidano a consulenti sono state in grado di raggiungere un livello di sostenibilità avanzato, mentre nessuna delle aziende di moda intervistate è riuscita a farlo internamente”, conclude Serena Moro.