Cosa vuoi fare da grande? Ce lo siamo sentiti chiedere tutti almeno una volta da bambini o da ragazzi, fino a quando non è arrivato il momento in cui, a nostra volta, lo abbiamo chiesto a persone più giovani di noi. Questo perché siamo abituati a ritenerla una domanda con una data di scadenza, lecita fino a una certa età, superata la soglia della quale diventa perfino inopportuna.
Fortunatamente, a capovolgere le nostre convinzioni da boomer ci pensa Giulio Xhaët, consulente e formatore, con il suo libro Da grande. Non è mai troppo tardi per capire chi potresti diventare (Sonzogno Editore), una guida pratica per scoprire cosa vogliamo fare, chi vogliamo essere e chi possiamo diventare, a qualunque età.
Con un linguaggio amichevole e mai noioso, animato da note e sottolineature tracciate a mano, Xhaët disegna un percorso da seguire per scoprire le proprie vocazioni, rivolto tanto a chi ha già un’idea di quali potrebbero essere le proprie passioni, quanto a chi non sa proprio da dove cominciare.
Lo fa partendo dalla sua storia personale e da quella di altri che come lui, a un certo punto della loro vita, hanno deviato dalla strada che stavano percorrendo per imboccarne una meno battuta, lontano dalle aspettative altrui e da ciò che avevano sempre immaginato per loro stessi.
«Da grande» racconta Giulio, «non è quella fase che comincia quando anagraficamente diventi adulto; bensì, indica quel momento in cui, citando il poeta Walt Whitman, continui a diventare le tue vasti moltitudini. Mia nonna ha 90 anni e si è iscritta a un corso di cinema francese. Nonostante i suoi 90 anni, continua a diventare grande, perché diventare grande significa essere curiosi e cercare qualcosa di nuovo».
È quello che ha fatto Sara, la prima storia raccontata nel libro, che dopo 12 anni di lavoro d’ufficio, ha maturato la decisione di mollare tutto per diventare fioraia nel suo paese di origine. Un percorso che riecheggia quello di Nicolò, che dopo anni di carriera nelle multinazionali più famose del mondo, ha abbandonato le metropoli internazionali per avviare un’attività nella sua Bari.
Ma tra le storie che attraversano le pagine di Da grande, a fare da exemplum c’è anche quella dello stesso Giulio, che fino a 29 anni ha concentrato tutte le sue energie nel tentativo di sfondare nel mondo della musica: «Quando sento persone molto giovani che pensano di aver perso il treno, crucciandosi per non aver combinato niente con la loro vita, dico loro: prendi me come esempio. Io ho cominciato a lavorare a 29 anni suonati, dopo essere andato fuori corso all’università, dopo aver fallito nella musica, aver preso un sacco di pali in faccia e dopo essermi laureato in scienze delle merendine con un voto di laurea mediocre e, per giunta, fuori corso. Soltanto dopo i 30 anni ho cominciato a capire cosa mi piaceva fare e chi volevo diventare. Insomma se sono riuscito ad ottenere qualcosa io, ce la possono fare sicuramente anche loro».
Le domande generative
Facile a dirsi, difficile capire da dove cominciare a cercare, specie se ci si trova in quella che nel suo libro Giulio definisce “zona arida”, una condizione in cui si languisce, privi di talento e di passioni, più simili ad un oggetto che a un soggetto attivo in grado di prendere decisioni ed indirizzare la propria vita.
Per questo, per riuscire a muovere i primi passi e attraversare questa zona, al di là della quale si trovano i talenti e le passioni nascoste, si può iniziare ponendosi le cosiddette “domande generative”, domande, cioè, in grado di generare un’azione.
«Le domande generative ti spingono a intraprendere qualcosa, a smettere di aspettare il momento perfetto e compiere finalmente un’azione. E questo non è il loro unico super potere. Rispondendo alle domande generative in maniera molto schietta», continua Giulio, «si illuminano i punti ciechi e si dipana un po’ la nebbia quando non si sa come muoversi».
Nel libro Xhaët ne elenca 11, che afferiscono a branche molto distanti, dalla psicologia all’arte, dall’economia al mondo del gioco.
Mettendole in fila, una dopo l’altra, nasce un percorso, alla fine del quale, in fondo al volume, i lettori trovano ad aspettarli un Personal Purpose Canvas, che dà l’opportunità di mettere in pratica quanto appreso.
«Una domanda generativa che mi piace molto è: qual è la cosa più preziosa che pensi di poter offrire agli altri?», continua con entusiasmo Giulio. «Mi piace molto perché è una domanda individuale, che unisce qualcosa che riguarda te a qualcosa che puoi fare per gli altri. Un’altra domanda generativa è: qual è l’ultima volta che sei stato davvero felice e perché? Da questo punto di vista, l’iter contenuto in Da grande è molto vicino a un percorso di coaching, che induce a porsi delle domande, quelle giuste, per poi darsi delle risposte, nella logica in cui le domande sono più importanti delle risposte.
Il libro è pieno di domande e penso sia un esercizio interessante, perché dopo averlo fatto potresti sorprenderti di tutto ciò che non sapevi ci fosse dentro di te. In molti mi hanno detto che rispondere a queste domande li ha aiutati a fare ordine dentro di loro, a essere più convinti di quello che volevano fare e trovare la spinta di cui avevano bisogno per partire».
Le dominanti
Alcune risposte alle domande generative, per esempio “qual è la cosa più preziosa che possiamo offrire agli altri?”, sono strettamente correlate al modo in cui ci relazioniamo gli uni agli altri. Questi differenti approcci sono stati oggetto di studio da parte della ricercatrice Marissa King, che ha indagato a lungo i modi in cui le persone si influenzano a vicenda.
«Secondo King, in base a come si relazionano tra loro, gli individui si possono dividere in tre tipologie: gli aggregatori, gli intermediatori e gli espansionisti. Gli aggregatori sono tipi che tendono a creare delle reti molto forti, con pochi cari e a cui non interessa conoscere un sacco di gente. Vogliono approfondire pochi rapporti e andare davvero a fondo».
Gli intermediatori, invece, amano fare conoscenze da contesti molto diversi e lontani e sono bravi a mettere in contatto le persone conosciute dai mondi distanti dai quali attingono. «Sì, un intermediatore è qualcuno che ha molti interessi, che possono spaziare dal teatro allo skydiving», aggiunge Giulio.
E infine ci sono gli espansionisti, che amano ampliare al massimo le loro conoscenze. «Sono coloro che hanno le reti più vaste in assoluto, conoscono centinaia, migliaia di persone».
Tornando alla domanda generativa preferita da Giulio: qual è la cosa più preziosa che ognuna di queste differenti tipologie di individui hanno da offrire agli altri?
«La cosa più preziosa che possono offrire gli aggregatori è il loro tempo, la loro capacità di ascoltare», risponde Giulio. «Gli intermediatori sono molto bravi a portare a galla delle idee e delle informazioni un po’ nascoste, perché le mettono insieme tra mondi non comunicanti. Sono quelli più innovativi e più creativi. Gli espansionisti, invece, sono bravissimi nel mettere in contatto le persone, perché conoscono un sacco di gente».
Le scintille
Tuttavia, possono esserci fasi in cui la demotivazione è tale per cui non sempre le domande generative sono sufficienti a uscire dal torpore e mettersi in moto.
È in quel caso che bisogna andare “a caccia di scintille”, come recita il titolo del quinto capitolo di Da grande.
Le scintille illuminano il percorso che conduce al di là della zona arida e possono nascondersi in tre scrigni differenti: nelle persone, nei viaggi o negli oggetti.
«La prima categoria sono i mentori», spiega Giulio, «persone che ti possono aiutare a cercare la tua scintilla. I mentori ti ascoltano e ti danno una mano. Si fidano di te al punto da metterti nella condizione di praticare quello che potrebbe interessarti, per esempio condividendo con te il loro network».
A loro volta i mentori si dividono in due categorie: quelli di propulsione e quelli di innesco. «I primi ti aiutano a fare ordine dentro di te, a capire cosa vuoi quando non lo sai. I mentori di propulsione, invece, sono quelli che ti danno una mano quando sai già cosa ti piacerebbe fare, ma non sai da dove cominciare. È il caso, per esempio, di qualcuno che voglia lanciare una start up, senza avere la benché minima idea di come fare».
In quest’ultimo caso, il mentore può far nascere una scintilla dando delle informazioni teoriche, degli argomenti specifici da studiare oppure fornendo una scatola degli attrezzi e delle indicazioni pratiche. Ma può aiutare dando anche la possibilità di mettere in pratica il proprio sapere, condividendo un network di conoscenze utili a realizzare un determinato progetto.
La seconda strada per scovare le scintille, come si diceva, sono i viaggi.
«I viaggi possono essere di grande aiuto per qualcuno che ha bisogno di strutturarsi perché vive troppo alla giornata, oppure, all’esatto opposto, possono essere molto utili a una persona troppo metodica che ha bisogno di destrutturarsi. Nel libro propongo due storie di persone che sono cambiate grazie a un viaggio, in modo molto diverso l’una dall’altra, ma ugualmente determinante».
Infine, la terzia via che permette di andare a caccia di scintille sono gli oggetti.
«Alcuni oggetti sono magici. Ci svelano delle cose e possono essere altamente ispiranti. Possono essere delle opere, come libri, canzoni o qualcosa di cui possiamo fruire, oppure uno strumento musicale, una bicicletta. Insomma, un mezzo che ci permette di metterci in gioco».
La musica è stata una scintilla anche nella storia di Giulio, che spesso e volentieri parla dell’importanza che ha avuto nel suo lavoro di formatore, due mondi apparentemente inconciliabili.
«Tantissimo di quello che ho fatto nella musica mi è utile tutt’oggi. Scrivere canzoni stimola certe capacità creative che mi sono utilissime quando devo sviluppare un corso di formazione o elaborare contenuti per un corso. Inoltre, i palchi sui quali ho suonato mi hanno preparato ai palchi dei master di formazione. In breve, quello che ho imparato sulla mia pelle è che quando fai qualcosa con passione stai sempre facendo qualcosa che ti tornerà utile nella vita anche in altri campi».
Il multipotenziale
È una lezione che gli sta molto a cuore e che approfondisce nel suo libro precedente, Contaminati, in cui Xhaët sviluppa il concetto di “multipotenziale”.
«Il multipotenziale, o contaminato, è chi acquisisce delle capacità in ambiti e in contesti molto diversi. È il caso di qualcuno che ha lavorato sempre in un certo settore, ricoprendo un determinato ruolo, per poi cambiare radicalmente e fare qualcosa di completamente differente. I contaminati sono appunto coloro che sperimentano degli ambiti di vita distinti e contaminano settori di lavoro oppure contaminano le loro passioni con il lavoro».
Per Xhaët il multipotenziale non è chi fa molte cose tutte insieme e alla stessa intensità, rischiando di diventare inconcludente, bensì «qualcuno che mentre dà priorità a un progetto, attinge anche a quello che sta imparando da mondi apparentemente alieni. È il caso, per esempio, di un informatico che ogni tanto evade dal proprio ruolo e ricava delle nuove idee da attività extra lavorative: un corso di cucina o da uno spettacolo teatrale. Quel genere di persona che potrebbe dirti: “Ho letto un libro sulle piante e questo libro mi ha dato delle idee per sviluppare un software di un certo tipo”».
Il contrario dei contaminati, specifica Giulio, sono gli iper specialisti, coloro che svolgono le stesse mansioni da sempre, pensando di sapere tutto di un determinato campo, rischiando così di spegnere la loro curiosità.
«Gli iper specialisti tendono a smettere di incuriosirsi, pensano di essere molto bravi in un determinato campo e così diventano meno umili e molto arroganti. Di fronte alle novità si chiudono a riccio e pensano di saperla più lunga degli altri, in virtù dei loro 10, 20 o 30 anni di esperienza. Oppure davanti a delle proposte nuove potrebbero fare spallucce e dire cose come: “Dimmi pure quello che vuoi, ma tanto io ho 30 anni di esperienza nel settore quindi la so più lunga”. Di solito chi ti risponde così ha un anno vero di esperienza ripetuto uguale per 10, 20 o 30 volte».
Al contrario, spesso i multipotenziali sono individui che non hanno avuto un iter lavorativo lineare e che si sono trovati a cambiare il loro percorso, passando talvolta dalla zona arida.
È quello che succede ai protagonisti delle storie presenti nel libro, molte delle quali, non a caso, sono nate nel periodo incerto della pandemia, in cui molti hanno ribaltato la concezione che avevano di loro stesse, per scoprire nuovi desideri o versioni latenti di sé. «Il denominatore comune delle storie presenti nel libro è che si tratta sempre di persone attivamente alla ricerca di un proprio scopo; non subiscono la vita, non la fanno accadere, ma vogliono farla accadere. Sono partite da un certo punto iniziale, hanno attraversato la zona arida e sono cambiate. Le ho scelte perché è facile identificarvisi e perché possano esserci di ispirazione e farci sentire in compagnia, facendoci capire che non siamo i soli a trovare ostacoli sul nostro percorso».
Se dovessi dare un unico consiglio a una persona che non sa da dove cominciare quale sarebbe?
«Le direi di non sentirsi in svantaggio verso chi sembra muoversi più rapidamente, chi sembra essere più bravo o più giovane di noi e sembra aver fatto già tante cose.
Ognuno ha la propria velocità. Non bisogna paragonarsi agli altri, ma a sé stessi.
Quando si sente piena di energia ed entusiasmo, le direi di guardarsi avanti e di provare a capire quante cose l’attendono. Nelle giornate in cui si sente un po’ svogliata, triste e pensa di non farcela, invece, le direi di guardare indietro a quello che ha già fatto e di andarne fiera».