Dopo il rinvio a data da destinarsi del voto dell’UE sullo stop alla vendita di veicoli di nuova immatricolazione a benzina o diesel dal 2035 sul quale hanno pesato le posizioni di Germania, Polonia, Bulgaria e Italia, continuano a susseguirsi reazioni di segno opposto.
La premier Giorgia Meloni aveva parlato di “successo italiano” dichiarando: “Giusto puntare a zero emissioni di CO2 nel minor tempo possibile, ma deve essere lasciata la libertà agli Stati di percorrere la strada che reputano più efficace e sostenibile. Questo vuol dire non chiudere a priori il percorso verso tecnologie pulite diverse dall’elettrico. È questa la linea italiana che ha trovato largo consenso in Europa”.
Per il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, quella dell’Italia è una posizione molto chiara: “L’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come è oggi, ad essere una filiera per pochi. Puntare, inoltre, sui carburanti rinnovabili è una soluzione strategica e altrettanto pulita, che consente di raggiungere importanti risultati ambientali evitando pesanti ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva”. Il ministro ha aggiunto: “La decarbonizzazione del settore dei trasporti, che resta obiettivo prioritario, deve tenere conto delle peculiarità nazionali e di tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive. Ci auguriamo che questa pausa consenta anche ad altri Paesi e alle stesse istituzioni europee una ulteriore riflessione su un tema così importante per cittadini e imprese”.
Molto critiche, invece, le posizioni delle aziende italiane dell’auto elettrica e dei think tank ambientalisti.
Secondo Francesco Naso, segretario dell’associazione di categoria Motus-E, l’esecutivo sta giocando “di retroguardia”, e chiede di “cavalcare una transizione ormai ineluttabile, invece di subirla passivamente”. Naso ricorda che l’auto elettrica in Italia conta “2.500 aziende fornitrici di componenti a livello nazionale e internazionale, con 280.000 addetti” e a chi, a causa del passaggio all’elettrico, paventa il rischio di una perdita di 60.000 posti di lavoro, replica che “con le giuste politiche di supporto, l’occupazione del settore potrebbe tornare finalmente a crescere, proprio grazie all’elettrificazione”.
Molto critica anche la posizione di Italian Climate Network che parla di una”decisione molto maldestra che non può fare bene alla transizione e all’economia italiana”. La presidente Serena Giacomin ha dichiarato che “qualsiasi motivazione a questa posizione ministeriale appare inaccettabile, da una possibile mancata preparazione sul tema, alla volontà del Governo di accontentare un’opinione pubblica spaventata dal cambiamento in atto, complici alcuni organi di stampa che stanno comunicando tematiche come la mobilità elettrica in modo superficiale e polarizzante”.
Il think tank sul clima Ecco, per voce del suo Responsabile Trasporti Massimiliano Bienati, sostiene che la scelta “non tiene conto né degli aspetti di competitività economica e neppure degli impegni per il raggiungimento degli obiettivi climatici”. Come sottolinea Bienati, “l’auto elettrica si è già imposta come innovazione trasformativa del settore automotive globale, e richiede un radicale ripensamento organizzativo e tecnologico delle filiere produttive. Per rimanere competitiva sul mercato dell’auto, l’Italia deve dare un chiaro segnale ai mercati e ai consumatori, concentrando i propri sforzi diplomatici e il suo peso politico per sostenere il settore automotive nazionale, all’interno delle opportunità offerte dal nuovo Piano industriale europeo verde”.