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in Media & Communication
28/02/2023

Green o greenwashing? Come orientarsi nella giungla dei green claim

Via: di Alessandra Meloni (Communications & Engagement Lead Quantis Italia) e Simone Pedrazzini (Director Quantis Italia)

©iStock

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“Eco-friendly”, “sostenibile”, “green”: l’uso di green claim (dichiarazioni di prodotti e servizi “virtuosi” in prospettiva di sostenibilità ambientale) nella pubblicità è aumentato, diventando una pratica comune, in linea con la crescente attenzione dei consumatori. Ci sono ancora, tuttavia, ambiti di confusione, sia per i brand che per i cittadini. Come possono le aziende sviluppare green claim efficaci, che rispecchino la reale sostenibilità dei prodotti, valorizzando quanto già fatto all’interno di una vera e propria strategia di Brand Positioning improntata alla sostenibilità, da un lato? E dall’altro, come da consumatori, possiamo distinguere i green claim virtuosi da pratiche di greenwashing, anche inintenzionali, in un contesto in cui i green claim possono riferirsi a contesti eterogenei? E ancora, come confrontare le “virtù” ambientali di processi produttivi, i materiali di un packaging, le scelte di distribuzione o di approvvigionamento energetico fatte da un’azienda, le possibilità di fine-vita di un prodotto, senza avere l’impressione di incomparabilità tra i diversi impatti? E come orientarsi nei punti vendita o on-line, leggendo le confezioni o i leaflet, o affidandosi al passaparola sui social media?

©iStock

La fiducia è la chiave nella relazione tra l’impresa e il consumatore, e guida le scelte d’acquisto di quest’ultimo. Un capitale da non dissipare, lanciandosi in affermazioni fuorvianti o errate che possono avere gravi conseguenze, offuscare la reputazione, implicare azioni legali, far perdere la fiducia dei consumatori e mettere a rischio le relazioni con gli investitori. Senza dimenticare la crescente attenzione del regolatore, a diversi livelli.

©iStock

Come orientare, quindi, le proprie scelte di comunicazione, in un ampio ventaglio di possibilità, che comprende informazioni rispetto all’uso delle materie prime, la footprint, il consumo di acqua, la riduzione dei rifiuti, il responsible sourcing? E ancora, come decidere su cosa puntare la propria comunicazione di sostenibilità in una gamma che varia da liste di ingredienti free-from o compostabili alla scelta in favore delle energie rinnovabili, da packaging riutilizzabili e ricaricabili? La risposta di Quantis, espressa in un recente report on line, che sintetizza i principi guida cui abbiamo scelto di attenerci nella nostra ventennale esperienza in materia di comunicazione di sostenibilità, fa riferimento in primis alla misurazione. Non si può raccontare un progresso che non si sia misurato, e che non faccia parte di un percorso di trasformazione sostenibile già pianificato.

Ma cosa raccontare, dunque, e come? Basandosi sugli standard e le linee guida delle Nazioni Unite e ISO, nonché su altre linee guida e legislazioni nazionali e locali, Quantis ha definito i propri “cinque principi”, le regole d’oro per un buon green claim. Ovvero, essere specifico; misurabile; pertinente; comprensibile; accessibile.

©iStock

Un passo indietro rispetto alle fonti, oltre alla nostra esperienza consulenziale e al di là della compliance normativa. Nel 2017, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente e l’International Trade Center avevano pubblicato specifiche linee guida alla comunicazione di informazioni sulla sostenibilità dei prodotti. Questa pubblicazione, risultato della collaborazione tra Consumer Information Program della rete One Planet, Consumers International e i ministeri dell’ambiente tedesco e indonesiano aveva redatto una linea-guida su come fare affermazioni efficaci e affidabili sulle informazioni sulla sostenibilità relative ai prodotti, definendo cinque principi fondamentali e cinque aspirazionali. Parallelamente, la famiglia ISO 14020 approfondisce diversi tipi di schemi di etichettatura e dichiarazione, costruendo una classificazione tripartita, come segue:

  • Tipo I (ISO 14024) con riferimento a “etichette ambientali” sviluppate e certificate da una terza parte – sia essa un’organizzazione governativa o privata – che consente l’uso della stessa etichetta a prodotti che soddisfano una serie di requisiti;
  • Tipo II (ISO 14021) con riferimento a “etichette di autodichiarazione” – affermazioni sviluppate direttamente dal produttore del prodotto o del servizio senza una certificazione di terza parte;
  • Tipo III (ISO 14025) con riferimento a dichiarazioni ambientali basate su informazioni quantificate e verificate sul ciclo di vita del prodotto, che consentono confronti tra prodotti che svolgono la stessa funzione.


Inoltre, la ISO 14026 include i principi, i requisiti e le linee guida per la comunicazione specifica delle informazioni sull’impronta ambientale (footprinting) per comunicare informazioni valide, scientifiche e comparabili e prevenire ed evitare il greenwashing. I principi e le raccomandazioni stilate da Quantis intendono stabilire un approccio trasparente, rigoroso e basato sulla scienza per le aziende disposte a comunicare sulla footprint dei loro prodotti. In primis, dichiarazioni ambientali devono essere effettuate solo se il prodotto non è espressione di un settore particolarmente inquinante, caratterizzato da attività industriali intrinsecamente dannose per l’ambiente e/o la società, quale quello petrolifero, ad esempio. Fatta questa premessa, le dichiarazioni ambientali dovrebbero essere caratterizzate da:

  1. Specificità
    Chiarezza, veridicità, completezza sono elementi chiave per aiutare i consumatori a compiere scelte informate. Per questo parole vaghe come “green”, “sostenibile” o “eco-friendly”, dovrebbero essere evitate, perché imprecise e fuorvianti, suggerendo che prodotti o marchi abbiano un impatto ambientale positivo. Si tratta di caratteristiche molto difficili da dimostrare e, nella peggiore delle ipotesi, possono non corrispondere al vero.
    Cosa fare dunque? Prima di tutto, indicare l’ambito dello studio e il prodotto valutato, così come i mercati e l’indicatore usato, e specificare se questo si riferisce all’intero prodotto o a un suo componente. Comunicare l’impatto delle attività su aspetti ambientali specifici, come consumo di acqua o di suolo, ecosistemi, biodiversità, è una strategia migliore rispetto all’uso di termini generici.
    I dati espressi in percentuale dovrebbero essere poi arrotondati in modo conservativo in modo che siano più facilmente comprensibili (ad es. 53% arrotondato al 50%). Poiché esistono approssimazioni in qualsiasi valutazione del ciclo di vita, un approccio conservativo evita comunicazioni ingannevoli e greenwashing.
  2. Misurabilità
    Le dichiarazioni sull’impatto ambientale del prodotto devono essere misurabili, basate quindi su uno studio di valutazione del ciclo di vita del prodotto (LCA – Life Cycle Assessment), completato in conformità con metodologie riconosciute e standard internazionali come PEF e ISO. Importante è anche comunicare i parametri e gli indicatori degli studi realizzati, e gli specifici prodotti valutati, confrontandosi con esperti rispetto alla necessità di ricorrere sempre a dati primari, all’interno del quadro di riferimento metodologico scelto.
    È necessario assicurarsi che le riduzioni dell’impatto o i benefici ambientali siano scientificamente significativi. Quantis consiglia di confrontarsi con esperti LCA prima di rendere pubbliche le proprie affermazioni, per verificare che i numeri presentati riflettano un miglioramento significativo rispetto agli indicatori presi in esame. Inoltre è sempre opportuno adottare modelli che considerino tutte le fasi del ciclo di vita (produzione da materie prime, trasporto, consumo/fase d’uso, smaltimento). Se le dichiarazioni si concentrassero su una singola fase del ciclo di vita, si dovrebbe indicare chiaramente la percentuale rappresentativa dell’impatto complessivo del prodotto.
    Le dichiarazioni possono essere accompagnate da certificazioni ed etichette di terze parti per garantire l’accuratezza delle informazioni e creare fiducia, a condizione che le informazioni comunicate ai consumatori tramite l’etichetta siano affidabili e solide e forniscano informazioni chiare sulle caratteristiche ambientali del prodotto.
    In caso di dichiarazioni comparative, queste devono includere la valutazione di tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti confrontati e devono essere presentate solo tra prodotti disponibili sullo stesso mercato, confrontati a parità di unità funzionale.
  3. Pertinenza
    I buoni green claim devono evitare informazioni fuorvianti, come evidenziare l’assenza di un ingrediente che non è mai stato presente, una caratteristica che un prodotto ha sempre avuto, o un vantaggio ambientale richiesto dalla legge. Le affermazioni non devono esaltare un aspetto in cui il prodotto sta funzionando bene (o è migliorato) al contempo nascondendo altri aspetti in cui il prodotto sta performando male dal punto di vista ambientale.
    Un punto di attenzione è rappresentato dall’inclusione di aspetti legati al comportamento dei consumatori (consumer behaviour). Claim basati su presupposti rispetto al cambiamento del comportamento del consumatore dovrebbero essere corroborate da studi comportamentali, cifre realistiche e fonti affidabili. Scenari non realistici che non corrispondono a comportamenti reali possono fuorviare i consumatori ed essere considerati greenwashing (es. rivendicare i vantaggi di un prodotto ricaricabile supponendo 20 ricariche durante la vita del prodotto quando in realtà i consumatori lo ricaricano di norma solo 3 volte prima dello smaltimento).
  4. Comprensibilità
    Il linguaggio utilizzato dovrebbe essere di facile comprensione per i consumatori: alt, quindi, a un gergo tecnico e complicato. I claim devono usare termini oggettivi e neutri, evitando immagini o colori ingannevoli o fuorvianti. Spesso nei claim pubblicitari si usano poi le equivalenze, per mostrare quanto un prodotto permetta di risparmiare in termini ambientali: è una pratica comune, ma deve essere rilevante per l’indicatore ambientale che intende esporre. Un esempio? Per illustrare il risparmio idrico è più pertinente confrontarlo ad un numero di bagni in una vasca piuttosto che ai km percorsi con una automobile.
    Quantis suggerisce inoltre ai Brand di evitare la creazione di propri sigilli ambientali, loghi o etichette che comunichino le caratteristiche ambientali dei prodotti per non indurre i consumatori a interpretarli quale approvazione di parte terza indipendente.
  5. Accessibilità
    Le informazioni sull’impatto ambientale dei prodotti devono essere facilmente accessibili, chiare e affidabili, per consentire ai consumatori di prendere decisioni informate. Le prove a sostegno delle affermazioni dovrebbero essere pubblicamente disponibili, accessibili e gratuite. Gli approfondimenti – spiegazioni su metodologia, ipotesi, limiti e fonti dello studio – dovrebbero essere pubblicate sul sito web aziendale o altri canali, permettendo così ai consumatori di conoscere maggiori dettagli rispetto alle informazioni, spesso molto brevi, che possono essere scritte sulla confezione. Nel caso in cui si sia scelta la strada del claim comparativo, sarà necessario un documento a supporto, quale un’analisi LCA conforme allo standard ISO. Con l’avvertenza che un simile documento, lungo, tecnico, di difficile comprensibilità, venga accompagnato da una sintesi, che ne faciliti la lettura e la comprensione.
    Se negli ultimi anni abbiamo sicuramente assistito a un cambiamento nel modo in cui le aziende parlano di sostenibilità – da generiche asserzioni di posizionamento, ad una crescente attenzione alla comunicazione legata alle materie prime, ora vediamo sempre più realtà affrontare la misurazione degli impatti, e la loro quantificazione. Riteniamo che una comunicazione credibile in materia di sostenibilità rappresenti un’enorme opportunità per educare il consumatore e creare quella consapevolezza che porti alla reale trasformazione dello status quo, al di là di semplici esercizi di marketing o apparente conformità regolatoria.
Simone Pedrazzini, Director Quantis Italia

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