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in CSR
23/11/2022

Shein: rilevate sostanze chimiche pericolose negli abiti, oltre i limiti UE. Il report di Greenpeace

Via: di Maria Marcellino
Shein: rilevate sostanze chimiche pericolose negli abiti, oltre i limiti UE. Il report di Greenpeace

Photo by Rio Lecatompessy on Unsplash

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Fino a 18 ore di lavoro al giorno per cucire 500 capi, paghe di circa 4 centesimi l’ora, punizioni per chi sbaglia, un solo giorno libero al mese e nessuna pausa durante la giornata lavorativa.
L’inferno di Shein, il marchio di abbigliamento cinese famoso in tutto il mondo per i suoi prezzi stracciati e all’ultima moda, veniva svelato circa un mese fa da un’indagine shock condotta sotto copertura da Channel 4 e intitolata “Untold: Inside the Shein Machine”, con tanto di telecamere nascoste.
Come se ciò non bastasse, ora un nuovo report di Greenpeace intitolato “Taking the Shine off SHEIN: A business model based on hazardous chemicals and environmental destruction”, rivela la presenza di sostanze chimiche pericolose nei capi di abbigliamento prodotti dal gigante cinese, cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni.
Un sistema basato sullo sfruttamento delle persone, sui gravi impatti ambientali, sulla mancata applicazione delle normative per proteggere l’ambiente, la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori.
Come spiega Greenpeace, il business model di Shein non è più categorizzabile semplicemente come “fast fashion”, ma come “ultra fast fashion”, un sistema produttivo insostenibile che spinge gli ingranaggi del fast fashion oltre l’estremo: costringe i fornitori a consegnare i prodotti in tempi brevissimi, nell’arco di pochi giorni, con ordini che finiscono direttamente ai clienti di tutto il mondo tramite trasporto aereo.

Let's #unshineSHEIN – 5 shocking facts about the #UltraFastFashion company.👇 pic.twitter.com/q5wzS920Tm

— Greenpeace (@Greenpeace) November 23, 2022


Sospettando che gli enormi volumi gestiti e i tempi di consegna incredibilmente ridotti celino una scarsa attenzione alle sostanze chimiche pericolose coinvolte nelle filiere produttive, Greenpeace ha acquistato 42 articoli dai siti Web di SHEIN in Austria, Germania, Italia, Spagna e Svizzera e 5 articoli da un negozio a Monaco durante l’Oktoberfest, in Germania, per poi inviarli a un laboratorio indipendente per le analisi sulla presenza di numerose sostanze chimiche (composti organici volatili, alchilfenoli etossilati, formaldeide, ftalati, PFAS, metalli pesanti, ecc.)
I risultati ottenuti sono sconcertanti: in 7 dei 47 capi acquistati da Greenpeace (il 15%), sono state rilevate quantità di sostanze chimiche pericolose per la salute umana, superiori ai livelli consentiti dalle leggi europee e da considerarsi illegali a tutti gli effetti: eccedono gli standard stabiliti dal regolamento comunitario REACH (dall’acronimo Registration, Evaluation, Authorisation of Chemicals), che identifica i valori limite relativi alla presenza di una serie di sostanze chimiche pericolose nei capi di abbigliamento, negli accessori e nelle scarpe.
Dalle analisi di laboratorio, Greenpeace ha scoperto che 7 di questi prodotti sono stati realizzati interamente o in parte con materiali sintetici derivanti dalla raffinazione dei combustibili fossili (6 dei 7 erano stivali o scarpe); in 5 delle calzature sono stati riscontrati livelli molto elevati di ftalati, sostanze chimiche associate all’insorgenza di alcune patologie, come asma, diabete, problemi di fertilità e perfino tumori; in un tutù per bambina e in un cinturino verde sono state identificate quantità di formaldeide superiori ai valori soglia identificati dal REACH; in un paio di stivali rossi è stato rilevato un rilascio di nichel superiore ai valori stabiliti dal regolamento europeo.
In altri quindici prodotti (32 per cento) le concentrazioni di queste sostanze si sono attestate a livelli comunque preoccupanti.
“L’uso di sostanze chimiche pericolose è alla base del modello di business di SHEIN, con alcuni prodotti illegali che stanno invadendo i mercati europei. Chi paga il prezzo più alto della dipendenza chimica di SHEIN sono i lavoratori che operano nelle filiere produttive del colosso cinese e sono esposti a seri rischi sanitari, ma anche le popolazioni che vivono in prossimità dei siti produttivi” dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. “Il fast fashion, per via dei suoi notevoli impatti ambientali, è da considerarsi incompatibile con un futuro rispettoso del pianeta e dei suoi abitanti. L’ultra-fast fashion addirittura aggrava gli impatti del settore e accelera la catastrofe climatica e ambientale. Per questo, deve essere fermato subito”.
L’industria della moda è infatti responsabile di circa il 10 per cento delle emissioni globali di gas serra e rappresenta una delle principali cause di inquinamento delle acque.

Photo by Francois Le Nguyen on Unsplash

Il settore del fast fashion in particolare offre sul mercato prodotti “usa e getta”, realizzati principalmente con fibre derivanti dal petrolio, che non vengono quasi mai riciclati.
Nel report di Greenpeace si legge che i prodotti di questo tipo distrutti in Europa, nel solo 2020, se impacchettati singolarmente in scatole di 45 centimetri, farebbero il giro del mondo 1,5 volte. Relativamente allo smaltimento a fine vita, quando i vecchi capi pieni di sostanze chimiche pericolose vengono gettati via producono inquinamento (indipendentemente dal loro smaltimento in inceneritori o discariche) e la loro contaminazione è un forte deterrente allo sviluppo di una vera circolarità del settore tessile.
Pertanto, “Greenpeace chiede all’Unione Europea di applicare le leggi vigenti sulle sostanze chimiche pericolose, un requisito fondamentale per lo sviluppo di una vera economia circolare, e di attivarsi per eliminare il fast fashion, come peraltro indicato nella strategia europea sul tessile”, continua Ungherese. “È inoltre necessario intervenire sullo sfruttamento della manodopera, sulle gravi conseguenze ambientali nelle fasi produttive e, infine, sulla gestione dei rifiuti a fine vita. Tutti questi aspetti devono essere affrontati urgentemente con un trattato globale e un approccio simile a quello attualmente in discussione sulla plastica, che affronti finalmente la gigantesca impronta ecologica dei settori del tessile e della moda”.

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