C’è un motivo se l’Italia arranca molto più di altri in Europa nella transizione verso una mobilità privata elettrica, ed è il sistema fiscale italiano. Lo dice una nuova analisi dell’organizzazione no-profit e indipendente con sede a Bruxelles Transport & Environment che confronta il trattamento fiscale del settore auto di 31 Stati. La domanda di partenza è: perché l’Italia si trova in fondo alla lista dei Paesi Ue, per quanto riguarda l’elettrificazione dei trasporti?
E soprattutto: cosa ha causato una ben visibile inversione di tendenza?
Lo studio prende in considerazione 7 forme di tassazione e due tipi di registrazione (privata e aziendale) e valuta gli incentivi a sostegno della domanda. Quel che emerge è che non solo non si incentiva una scelta ambientalista, atta a migliorare la salute di tutti e ad avvicinarci al rispetto dei risultati promessi in fatto di emissioni, ma che succede esattamente il contrario. “Le tasse italiane non seguono neppure un criterio di equità poiché non penalizzano abbastanza le auto di nuova immatricolazione maggiormente emissive, che sono anche le più costose e sono tipicamente l’opzione di acquisto delle fasce più abbienti della popolazione”, spiega il rapporto. Per esempio la tassa di immatricolazione da noi è scollegata dalle emissioni del veicolo, al contrario di quel che avviene nella maggior parte dei Paesi europei: in Francia chi compra un’auto che rilascia oltre 200 gCO2/km paga allo Stato fino a 40mila euro di imposte, tanto per capirci. Se poi parliamo di incentivi, la situazione è ancora peggiore: “Oltre a offrire, nel confronto con le altre nazioni, un sostegno economico modesto agli acquirenti di veicoli elettrici a batteria (BEV) il nostro è praticamente l’unico Paese in Europa a prevedere incentivi per l’acquisto di automezzi con emissioni fino a 135 gCO2/km”. In pratica gli stessi veicoli che in Francia vengono tassati perché troppo inquinanti! Quello che là è penalizzato, da noi è incentivato.