Mossa politica di tutto rispetto per il gigante petrolifero Shell che sostituirà il suo attuale vertice, Ben van Beurden, l’amministratore delegato di Shell plc. con il capo della divisione Gas e Rinnovabili, Wael Sawan. Il passaggio di mani sarà ufficializzato alla fine del 2022. Sawan, un cittadino libanese-canadese, in precedenza aveva guidato l’attività di produzione di petrolio e gas della Shell. Oggi invece supervisiona la crescita della Shell verso le energie a basse emissioni di carbonio, oltre al gigantesco business del gas. “Saremo capaci di afferrare le opportunità offerte dalla transizione energetica – ha detto Sawan -. Saremo disciplinati e incentrati sul valore, mentre collaboriamo con i nostri clienti e partner per fornire energia in modo affidabile, conveniente e più pulito”. Sicuramente una scelta forte, che può far ben sperare.
La nomina di Sawan è un “chiaro segno” che la società intende cambiare la sua strategia per le energie rinnovabili, finora “piuttosto vaga, anche se grandiosa”, ha commentato Sophie Lund-Yates, analista azionario principale di Hargreaves Lansdown. Del resto Shell ha anche molto da “ripulire”. Nel maggio di quest’anno, la consulente per la sicurezza Caroline Dennett ha smesso di lavorare per Shell, dicendo che “non poteva più lavorare per un’azienda che ignora tutti gli allarmi e respinge i rischi del cambiamento climatico e del collasso ecologico”, sottolineando che le intenzioni di Shell sul petrolio “non stanno finendo, ma anzi: si pianificano nuove esplorazioni ed estrazioni”. Ma che il cambiamento non sarà veloce non lo nega neppure la Shell. L’attuale CEO Van Beurden, che di fatto ha avviato la trasformazione del gigante petrolifero, stabilendo sotto il suo mandato che la società diventerà carbon neutral entro il 2050, è sempre stato molto chiaro sul fatto che i soldi per finanziare questa transizione sarebbero venuti dall’attività di estrazione e vendita degli idrocarburi, di cui del resto l’economia mondiale avrà bisogno per i decenni a venire. Questa dichiarazione fece tremare i polsi, un paio di anni fa, a molti azionisti, che temevano fossero toni troppo poco compiacenti per l’opinione pubblica e gli ambientalisti. Ma poi è arrivata la guerra, la crescente preoccupazione per gli approvvigionamenti energetici, e la diffusa comprensione che rimandare le scelte a protezione del clima sia necessario. Eppure Shell proprio dalla guerra ha avuto vantaggi strepitosi. Sempre durante il mandato di van Beurden, Shell ha acquistato il gigante del gas BG Group per 52 miliardi di dollari nel 2015, alla vigilia dell’attuale corsa al gas insomma, ritrovandosi tra le mani un vantaggio che ha potenziato il business del gas e del GNL della Shell proprio quando bene o male tutti gli Stati – in primis l’Unione Europea, che lo considera ufficialmente un combustibile green – hanno battezzato il gas come combustibile di transizione, da utilizzare come tramite tra carbone e rinnovabili, creando profitti veramente eccezionali, con buona pace degli attivisti e di alcuni politici.