L’auto elettrica è il futuro? Se riusciremo ad associarla ad altri mezzi, più sostenibili, come la bici e i mezzi di trasporto pubblico, più efficienti e capillari, più veloci anche grazie alla riduzione dei mezzi privati, allora sì, potremmo sperare in un futuro più sano e ricco per tutti, anche grazie all’auto elettrica.
Tuttavia, in molti hanno vasti timori – specie in Italia – di fare il grande passo: non ci sono infrastrutture, non regala le stesse prestazioni, ha tempi di ricarica troppo lunghi, hanno spiegato molti italiani in un recente sondaggio. Ma serve un cambio di paradigma, serve comprendere che l’auto elettrica è una opportunità – se pur limitata – di combattere contro quei cambiamenti climatici che stanno velocemente indebolendo l’umanità, e l’intero pianeta.
Ecco che capire come è evoluta l’auto elettrica – che non nasce certo oggi – e perché la sua diffusione è fallita nei primi anni del ‘900 può essere cruciale per garantirgli, questa volta, il pieno successo. Il primo veicolo a trazione elettrica viene presentato all’Esposizione Universale di Parigi nel 1867 dall’inventore austriaco Franz Kavogl.
Nel 1881 Gustave Trouvé gira a Parigi con un triciclo elettrico, pochi mesi dopo è la volta di Berlino dove si sperimenta un autobus di questo tipo. Nel 1885 il francese Jeantaud produce e vende vetture elettriche con una autonomia di 30 Km e una velocità di 20 Km/h. In Italia, il conte Giuseppe Carli di Castelnuovo Garfagnana, insieme all’ingegner Francesco Boggio, realizza la prima auto elettrica tricolore nel 1891. Negli ultimi decenni dell’800 le automobili alimentate con batterie al piombo acido sono in crescita per le strade.
A Londra e New York vengono introdotti i taxi elettrici nel 1897. In America le auto elettriche, facili da guidare, silenziose e senza odori sgradevoli, sono usate in particolare per i piccoli spostamenti e tra le donne dell’alta borghesia. I veicoli elettrici si accendono all’istante; le auto a benzina richiedevano l’avviamento.
L’impianto elettrico era facile da usare, senza bisogno di cambiare marcia; le auto a benzina rimbombavano, si fermavano, si ritorcevano contro e si rompevano più facilmente. I veicoli elettrici diventano “simbolo dell’emancipazione femminile”, macchine per la libertà, e le case automobilistiche promuovono veicoli come la Detroit Electric “alla donna beneducata” come un’auto in cui “lei può preservare il suo gabinetto immacolato, la sua pettinatura intatta. Coiffure a parte, le suffragette guidavano veicoli elettrici ai loro raduni.
Improvvisamente l’auto elettrica si fa più maschia, in particolare quando il 29 aprile del 1899 il belga Camille Jenatzy, detto Barone Rosso per via della sua barba fiammeggiante, raggiunge con la sua Jamais Contente, auto elettrica da lui stesso ideata e costruita, i 105,88 Km/h, tra due ali di spettatori ammutoliti. È mania. Anche Thomas Edison nel 1901 lavora a migliorare le batterie dei veicoli elettrici e nel primo decennio del ‘900 negli Stati Uniti un terzo dei veicoli circolanti è elettrico. Nel 2020 solo il 2%. È del 1901 anche la prima auto ibrida: la crea Ferdinand Porsche, e la chiama Löhner-Porsche Mixte. Tuttavia, nel 1910 solo il 10% delle case americane aveva elettricità e gli sforzi di elettrificazione rurale non sarebbero arrivati fino agli anni ’30. L’elettrificazione era un mosaico di sistemi, tensioni e frequenze concorrenti, con corrente continua (CC) nelle città e corrente alternata (CA) – quando c’era corrente, nelle campagne. Negli anni ‘20 le reti stradali migliorano, e la fame di spostamenti richiede una autonomia maggiore. Succede però qualcos’altro di fondamentale: si scoprono vasti giacimenti petroliferi e il prezzo della benzina scende. In più, l’automobile con motore a scoppio diventa più semplice da guidare. È l’inizio della fine per l’elettrico e la diffusione dell’auto a benzina surclassa quella le e-car, che restano limitate all’uso urbano per la bassa velocità e autonomia. Gli stessi problemi che si portano avanti ancora oggi. Con il passare degli anni, l’abbondanza di benzina a basso costo e le migliorie al motore a combustione interna rendono inutili i carburanti alternativi, che vengono progressivamente abbandonati. La pubblicità ha contribuito a creare una cultura delle auto a benzina. Le case automobilistiche “hanno ideato una sorta di ideologia a ‘sfere separate’ sulle automobili: le auto a benzina erano per gli uomini, le auto elettriche erano per le donne”. Le donne sono state in grado di attraversare i confini di genere e adottare “auto da uomo”, come la pilota Dorothy Levitt, che guidava una De Dion a benzina a velocità fino a 91 mph. 8 Ma per gli uomini guidare un veicolo elettrico era un segno di debolezza. La società Argo avrebbe potuto pubblicizzare il suo veicolo elettrico del 1912 come “un’auto da donna che ogni uomo è orgoglioso di guidare”, ma la maggior parte degli uomini non voleva guidare “l’auto di una donna” e l’associazione lenta a morire dei veicoli elettrici con inizia la debolezza. Con le auto a benzina, gli uomini prendevano il volante.
A cavallo tra gli anni ’60 e ’70 i prezzi del carburante però aumentano e si ridesta – brevemente – l’interesse per i veicoli elettrici. In più, è tanta l’ammirazione per il rover della Nasa che si muove sul suolo lunare nel 1971: è alimentato da batterie. Nello stesso anno la General Motors presenta un prototipo di city car elettrica al First Symposium on Low Pollution Power Systems Development del 1973. Per la prima volta l’auto elettrica si associa decisamente alla lotta contro l’inquinamento. Ma nulla può contro le pur sempre ridotte performance e autonomie, rispetto al motore a scoppio. Il mercato dell’auto elettrica si spegne, mentre l’auto a benzina si avvantaggia di una rete di rifornimento sovvenzionata dal governo federale e gestita da monopoli (viceversa oggi, per potenziare l’auto elettrica, si tenta di ridurre le stazioni di servizio). La Standard Oil Company di John D. Rockefeller concede alle auto a benzina “un’area operativa praticamente illimitata, poiché la benzina con cui viene utilizzata può essere acquistata in qualsiasi farmacia del paese”, scrive il New York Times nel 1900.
Il punto di non ritorno sarà l’accensione elettrica dell’auto a benzina, nel 1912, che rese facile l’accensione del motore. Alla fine degli anni ’20, la produzione di veicoli elettrici era un’industria morta. Si riaccenderà in California solo nel 1990 grazie alle leggi californiane a contrasto dell’inquinamento dell’aria. A parte i prototipi, negli anni ‘90 esce sul mercato la Panda Elettra, ancora alimentata con batterie al piombo acido. Nel 1997 arriva la Toyota Prius, definita la prima auto ibrida di massa, venduta nel 2000 in tutto il mondo con un successo immediato. La batteria è al nichel idruro di metallo. Nel 2003, Martin Eberhard e Marc Tarpenning fondano una startup chiamata Tesla Motors, che l’anno dopo vedrà Elon Musk entrare come investitore principale. Inizia la produzione della Roadster, con una autonomia di 340 km, prima automobile al mondo a utilizzare batterie con celle agli ioni di litio. Nel 2010 Nissan mette in commercio la Leaf, totalmente elettrica, mentre i costi delle batterie, ancora oggi da sola responsabile del 30% del costo di un’auto, cala del 50% in 4 anni. Sul prossimo, si spera progressivo, ulteriore calo dei costi, si gioca uno degli aspetti fondamentali per il futuro di queste auto. Oggi l’offerta di auto elettriche riguarda praticamente tutte le case automobilistiche e gli indirizzi a tutela del clima e della salute pubblica che l’Europa e gli Stati membri hanno già adottato e adotteranno nell’imminente futuro non potranno che accelerare un processo troppe volte auspicato a vuoto. In definitiva, le prime auto elettriche hanno dovuto affrontare ostacoli simili a quelli che i veicoli elettrici devono affrontare oggi: una mancanza di sostegno da parte del governo, una rete di rifornimento incapace di competere con i veicoli a gas e uno stigma di debolezza. Ostacoli non tanto tecnologici insomma, quanto politici, economici e culturali.