È una storia di uomini, e delle loro famiglie, morti per amianto. Nel banco degli imputati, nell’aula della Corte di Appello di Venezia, questi alti ufficiali, hanno ricevuto il verdetto di condanna. La Corte li ha ritenuti, a vario titolo, responsabili del reato di omicidio colposo.
Sono in corso, intanto le cause civili, perché la Marina rifiuta il risarcimento. Il verdetto della Corte di Appello di Venezia, III sezione penale, è chiara, ed identifica responsabilità che confermano quanto da tempo ho sostenuto circa il rischio amianto nella Marina Militare Italiana.
La flotta contaminata di amianto. Giovani uomini che hanno sacrificato la loro vita: inconsapevoli ed incolpevoli, esposti giorno e notte, in mare ed in terra, alle fibre di asbesto.
Nelle esercitazioni, nei turni di guardia, nel servizio, hanno manipolato amianto e ne sono stati esposti anche per la contaminazione degli ambienti. Questi minerali erano dappertutto: avvolgevano i tubi, componevano le guarnizioni, le porte tagliafuoco, così componevano i forni delle cucine, i macchinari ed i motori.
In questi ambienti promiscui, al chiuso, compresi gli alloggiamenti e non solo sottocoperta, in sala macchine, l’amianto era il vero nemico, subdolo ed invisibile.
I nostri militari (truppa, Sottoufficiali ed Ufficiali) fieri delle loro divise, con le loro stellette ben visibili, erano del tutto ignari del nemico invisibile, capace di far affievolire la luce nei loro occhi.
Il loro Amor di Patria, il loro orgoglio, forza e determinazione, dei 20 anni, hanno avuto il triste epilogo della malattia e della morte per amianto.
Così, nel letto di ospedale, prima tosse, difficoltà respiratoria, senso di oppressione ai polmoni. Con il destino già segnato, purtroppo, richiamato dell’epigrafe funebre. Vivranno in eterno questi uomini che si sono sacrificati: vittime della pace, vittime incolpevoli, i loro diritti calpestati e la loro dignità ancora negata, per il mancato riconoscimento dei loro diritti.
Asbestosi: vuol dire fibrosi nei polmoni, poi mesotelioma, e altri tumori, come quello del polmone, della laringe e degli altri organi del tratto respiratorio e gastrointestinale. Eppure l’amianto è sempre lì, sopravvive perfino alla L. 257/92.
Soltanto dopo l’inizio dei processi penali, il Ministero della Difesa sembra aver preso atto dell’urgenza delle bonifiche. Il ‘carteggio riservatissimo’ del 1969 dimostra che alla Forza Armata era ben nota l’epidemia di malattie nella base arsenalizia di Taranto e tra coloro che avevano assunto servizio nelle unità navali.
Uomini che fieri della loro forza, si sono ritrovati nel letto di un ospedale, ad assistere lucidamente alla loro morte. Non per effetto dell’azione bellica in un campo di battaglia, ovvero di uno scontro in mare con forze nemiche, quanto piuttosto per l’uso dell’amianto senza cautele.
Nel 2012, il Ministro della Difesa, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, per la prima volta ammise in Parlamento che l’amianto non era stato rimosso dalle navi. “L’attività finora svolta – dichiarò – ha permesso di bonificare completamente il 20 per cento e, parzialmente, il 44 per cento delle 155 unità con presenza di materiali contenenti amianto…”. L’80% delle navi era ancora contaminato e la situazione da allora, purtroppo, non è cambiata di molto.
Questa è la storia di uomini e donne, di figli e di intere famiglie, perché il mesotelioma non ha ucciso soltanto i militari e i dipendenti civili, ma spesso anche le loro mogli e i loro figli, perché le fibre si sono insinuate nei capelli e nelle loro uniformi, e ancora dopo 30/40 anni hanno continuato a seminare morte.
Lutti e tragedie che sono ancora in corso. Ne sa qualcosa Mara Sabbioni: alla Commissione Parlamentare di Inchiesta (06.12.2017), ha mostrato l’uniforme del padre, ancora con le fibre di amianto. Non lo ha potuto raccontare direttamente Domenico perché la sua esistenza è stata stroncata all’età di 58 anni.
Così anche Renata Tiraferri Roffeni, il cui padre, sommergibilista di leva, Giovanni, è deceduto all’età di 60 anni per mesotelioma.
È una storia di morte e di sangue, quella dell’amianto nella Marina Militare Italiana: tanto che, perfino il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, rifiutò di controfirmare il testo di legge che avrebbe negato i diritti delle vittime che, invece, furono riconosciute grazie al suo intervento.
Così, quindi, l’art. 20, L.183/10, i cui strumenti di tutela, tuttavia, sono solo sulla carta. Infatti, quella delle vittime dell’amianto in Marina Militare, così come per l’uranio impoverito (https://onanotiziarioamianto.it/vittime-del-dovere-tutela-legale/uranio-impoverito/), e per i vaccini, è anche una storia di diritti negati, per la cui tutela occorre agire sempre giudiziariamente.
In caso di decesso, anche i familiari superstiti hanno diritto al riconoscimento delle prestazioni previdenziali (speciale elargizione, speciale assegno vitalizio, assegno vitalizio). In ogni caso tutte le vittime (https://onanotiziarioamianto.it/vittime-del-dovere-tutela-legale/), hanno diritto al risarcimento del danno.
Eppure, ancora le bonifiche non sono state ultimate. L’amianto è ancora in navigazione, presente e testimone della tragedia dei nostri militari, vittime dell’amianto. Sopravvive per l’eternità, come epitaffio della vita e della morte, e della epidemia.
Lo sanno bene i vertici della nostra Marina Militare, in quanto sono ancora sul banco degli imputati, nel processo penale, che è ancora in corso presso la Corte di Appello di Venezia.
Sono stati chiamati a rispondere a vario titolo, per le lesioni e per la morte dei loro sottoposti, che si sono affidati a loro, donando la loro vita alla Patria e alla collettività. Eppure la Forza Armata li ha traditi.
Tant’è vero che con la L. 455/1943, promulgata quando i nostri uomini, in terra, in mare e in aria, sacrificavano la loro vita, contro soverchianti forze nemiche, ingaggiando nel Mediterraneo e negli oceani una furiosa battaglia contro la Royal Navy, e poi contro tutto il resto del mondo, il nostro Legislatore aveva riconosciuto la lesività delle fibre di amianto, e l’asbestosi come malattia professionale. Salvo poi moltiplicare l’uso del minerale fino all’entrata in vigore della L. 257/92.
La Marina Militare Italiana ha perso, così, la sua più grande battaglia: più di 2000 decessi per malattie asbesto correlate negli ultimi 20 anni. Sulle rovine di questa disfatta, combatte in trincea, tentando di negare e perseguendo l’oblio per le vittime ed i familiari e, soprattutto, delle responsabilità penali e civili. Lo impediremo.
Dignità, valore militare, senso del dovere. Non possiamo dimenticare queste vittime, vivranno in eterno. Ogni tentativo di obliterarne la memoria e di negare giustizia, dovrà essere contrastato, senza reticenza e senza timore. Questo il nostro impegno, questo il mio impegno.