Stiamo rallentando la velocità delle nostre emissioni, che tuttavia continuano a crescere. Ora, o mai più, è il momento della svolta e sono chiare le priorità su cui concentrare gli sforzi di tutti: amministrazioni, aziende e cittadini. Così potremmo riassumere l’ultimo ragguaglio dell’IPCC, organismo Onu intergovernativo sul cambiamento climatico, che per una volta si lascia andare a un cauto ottimismo. “Siamo sulla strada giusta, ce la possiamo fare”, nonostante poche settimane fa, lo stesso organismo aveva motivato dati peggiori del previsto per quanto riguarda i cambiamenti climatici. Ma del resto il catastrofismo non giova alla causa, e anche l’IPCC – che raramente ha avuto toni incoraggianti – prova la tattica della carota. La terza e ultima parte del Sesto rapporto sul clima è dedicata in fin dei conti alla “mitigazione”, e dunque il suo senso altro non può essere se non quello di tirare i remi in barca e pararsi la testa con le mani. “Con tecnologia e rinnovabili è possibile dimezzare i gas serra entro il 2030”, ci incoraggiano i ricercatori, rivolti qui naturalmente più alla politica che ai singoli cittadini. Una volta tagliati estrazione, produzione e consumo di metano, si deve lavorare sui finanziamenti: il capitale ci sarebbe ma i flussi economici per la lotta al surriscaldamento sono da tre a sei volte inferiori ai livelli necessari entro il 2030 per limitare il rialzo termico al di sotto dei 2°C. Se nel 2010 “la media globale annuale delle emissioni di gas serra ha toccato i livelli più alti della storia umana”, stiamo migliorando e “il tasso di crescita delle emissioni di gas a effetto serra tra il 2010 e il 2019 è stato inferiore a quella del decennio precedente”. In altre parole, abbiamo raggiunto il punto più basso della fossa che ci siamo scavati da soli, ma in effetti – se ancora non abbiamo iniziato a risalire – stiamo scavando più lentamente. Insomma, le emissioni nette di gas serra di origine antropica sono aumentate dal 2010 in tutti i principali settori a livello globale, ma più lentamente rispetto al decennio precedente. A implementare l’incoraggiamento, ci sono le prove che l’azione dei governi sta avendo effetti positivi sulla mitigazione dei cambiamenti climatici. Ad esempio, la giusta politica ha portato al calo – fino all’85% – dei costi dell’energia solare ed eolica e delle batterie di accumulo. È migliorata l’efficienza energetica grazie a politiche e leggi ad hoc, sono diminuiti i tassi di deforestazione e accelera la diffusione delle rinnovabili, scrivono gli autori. Per l’IPCC è anche – addirittura – possibile ipotizzare di “dimezzare le emissioni entro il 2030” per non superare la drammatica soglia di +1,5° di riscaldamento della temperatura terrestre. Per farlo, naturalmente, serve una svolta a cui nessuno – in verità – al momento sta lavorando, complice anche il conflitto in Ucraina: servirebbe “una immediata e profonda riduzione delle emissioni in tutti i settori”, con “una sostanziale riduzione dell’uso di combustibili fossili, una diffusa elettrificazione, una migliore efficienza energetica e l’uso di combustibili alternativi (come l’idrogeno)”, spiega il Summary for Policymakers. Che fare? “Gli edifici esistenti, se ristrutturati, e gli edifici ancora da costruire, potranno avvicinarsi a zero emissioni nette nel 2050 con pacchetti di politiche che combinino misure ambiziose di sufficienza, efficienza ed energia rinnovabile e se gli ostacoli alla decarbonizzazione vengono rimossi”. Perfino il settore industriale può raggiungere le emissioni zero, proprio quel settore che oggi rappresenta un quarto delle emissioni globali. Per farlo, si devono utilizzare i materiali in modo più efficiente, riutilizzare e riciclare i prodotti e ridurre al minimo i rifiuti.
Raggiungere lo “zero netto” sarà impegnativo e richiederà nuovi processi di produzione, elettricità a basse e zero emissioni, idrogeno e, ove necessario, cattura e stoccaggio del carbonio. L’agricoltura, la silvicoltura e altri usi del suolo possono fornire riduzioni delle emissioni su larga scala e anche rimuovere e immagazzinare l’anidride carbonica su vasta scala. L’utilizzo del metano, in particolare, dovrà essere ridotto di un terzo. Per limitare il riscaldamento a circa 1,5°C, le emissioni globali di gas serra dovranno raggiungere il picco al più tardi entro il 2025 e ridursi del 43% entro il 2030. Comunque, “è ormai quasi inevitabile che si superi temporaneamente questa soglia di temperatura”. Lascia sperare il fatto che “si potrà tornare al di sotto di essa entro la fine del secolo”, ovvero quando le emissioni di anidride carbonica raggiungeranno lo zero netto. Il problema sono i soldi, i finanziamenti. “Ma come abbiamo gli strumenti e il know-how necessari per limitare il riscaldamento”, ha commentato il presidente dell’IPCC Hoesung Lee, “abbiamo anche capitale globale e liquidità sufficiente per colmare i divari di investimento. Il Prodotto interno lordo globale sarebbe solo di pochi punti percentuali inferiore nel 2050 se intraprendessimo le azioni necessarie per limitare il riscaldamento a 2°C o inferiore, rispetto al mantenimento delle politiche attuali”.