Un mondo più caldo sta influenzando tutti gli esseri viventi sulla Terra. Lo spiega l’ultimo rapporto pubblicato questa settimana dal Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (IPCC) che ne esamina cause, impatti e soluzioni (lo scorso agosto era uscito il primo volume). Non ci sono buone notizie e, al primo posto tra le novità, c’è che le cose vanno molto peggio di quanto pensassimo. I ghiacci dei poli si sciolgono più velocemente del previsto, i mari si acidificano a velocità più sostenute, tanto che le barriere coralline spariranno prima del previsto. Già oggi, circa il 40% della popolazione mondiale è “altamente vulnerabile” agli impatti dei cambiamenti climatici, ma i più a rischio sono i paesi poveri: paradossalmente quelli che meno hanno contribuito a provocare il disastro, e che allo stesso tempo hanno meno risorse per reagirvi o anche adattarsi. In Africa, circa il 30% di tutte le aree di coltivazione di mais andrà fuori produzione, per i fagioli sarà un -50%. Questo significa che buona parte dell’Africa diventerà inabitabile.
Oggi, gli impatti avversi del cambiamento climatico sono “diffusi, e provocano danni alla natura e alle persone”, spiega l’IPCC. Questi danni sono subiti da una determinata popolazione piuttosto che da altre, e, a partire da questo rapporto, la cosa viene riconosciuta ufficialmente, almeno dalla scienza (dato che la politica finora non ne ha voluto sapere). Sarebbe giusto che le nazioni più ricche ripagassero perdite e danni alle nazioni più povere, in base alla loro responsabilità nella scala delle emissioni? Alla COP26 di Glasgow, tanto per fare un esempio, i progressi sulla questione si sono arrestati quando gli Stati Uniti e l’UE hanno semplicemente detto no, bloccando una struttura di finanziamento dedicata allo scopo. Si tratta di quegli impatti dei cambiamenti climatici a cui non è possibile adattarsi o eventi a insorgenza lenta come l’innalzamento del livello del mare. La cosa è controversa, naturalmente, perché si tratta di una responsabilità soprattutto storica: dunque perché i figli dovrebbero pagare anche per i padri, da un certo punto di vista? Così, mentre le nazioni più ricche temono di essere trascinate in tribunale e costrette a pagare con maggiori probabilità, visto il supporto di un ente scientifico così prestigioso, “il rapporto sottolinea l’urgenza con cui dobbiamo prepararci al cambiamento climatico e affrontare una nuova, ulteriore, realtà di perdite e danni, specialmente nelle comunità più vulnerabili”. Entro quando? “Il prossimo decennio è cruciale”, hanno spiegato i ricercatori. Ma andiamo avanti con le cattive notizie: secondo l’IPCC, l’uso di alcune tecnologie progettate per limitare il riscaldamento o ridurre la CO2 potrebbero peggiorare le cose piuttosto che migliorarle. Ad esempio, le apparecchiature che aspirano CO2 dall’aria, potrebbero in realtà semplicemente innescare il rilascio di più gas riscaldante. “Se rimuovi la CO2 dall’atmosfera, otterrai un effetto di rimbalzo nel ciclo del carbonio”, ha spiegato Linda Schneider della Heinrich Böll Foundation. “Gli oceani, i serbatoi terrestri, avranno un effetto di degassamento. E così parte della CO2 che hai rimosso dall’atmosfera verrà restituita nell’atmosfera”. Tra le novità, l’IPCC sottolinea il ruolo delle grandi città: punti caldi per gli impatti climatici, offrono però una reale opportunità per evitare i peggiori impatti del riscaldamento. Man mano che le città continuano a crescere, possono far da volano per le energie rinnovabili, l’utilizzo di trasporti più ecologici ed edifici sostenibili. Tutte cose più facili ed economiche da ottenere se la concentrazione delle persone cresce. Ciò potrebbe limitare gli impatti climatici distruttivi su larga scala. La speranza è l’ultima a morire, insomma, e i ricercatori rimangono convinti che gli impatti peggiori possono essere evitati, se agiamo adesso e per tutto il prossimo decennio, come il nuovo rapporto sottolinea in chiusura. “Qualsiasi ulteriore ritardo nell’azione globale concertata mancherà una finestra breve e che si chiude rapidamente per garantire un futuro vivibile”. La realtà delle cose, invece, è che la guerra in Ucraina ha reso tutto ancora più complicato, e dopo che l’Unione Europea ha inserito il gas naturale – un combustibile fossile – tra le forme di energia rinnovabile, l’Italia si sta addirittura attivando per far partire le trivelle nell’Adriatico e riaprire le sue 7 centrali a carbone (due sono già ripartite).