L’Italia apre il nuovo anno con un buon proposito che la vede prima in Europa: è entrato in vigore dal 1° gennaio 2022 il decreto legislativo n. 116/2020, che rende obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili.
Si tratta di una decisione che anticipa di tre anni l’attuazione di uno dei decreti contenuti nel “Pacchetto di direttive sull’economia circolare” con cui l’Unione europea stabilisce obiettivi vincolanti per il riciclo dei rifiuti e la riduzione del numero delle discariche entro il 2025.
Già un anno fa Aea, l’Agenzia europea dell’ambiente, avvertiva in un comunicato che i consumatori europei buttano ogni anno circa 3,5 milioni di tonnellate di rifiuti tessili in plastica, che degradano e danno origine a microplastiche. L’agenzia segnalava inoltre Italia e Germania come i primi paesi produttori di fibre sintetiche.
E mentre l’ISPRA stima che il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili, con circa 663.000 tonnellate all’anno destinate a essere smaltite in discarica o negli inceneritori, la Commissione e il Parlamento UE sottolineano che il settore tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra.
Ma la decisione dell’Italia, seconda in Europa per produzione di tessuti, di anticipare gli obiettivi Ue, comporta dei problemi pratici relativi all’attuazione del nuovo decreto, soprattutto per quei comuni che non hanno ancora un sistema di raccolta del tessile e che saranno obbligati ad avviare un regolamento che tenga conto sia degli indumenti, sia di altri materiali tessili come la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani e altri prodotti tessili. Inoltre, gli operatori del settore si mostrano preoccupati per l’aumento dei costi di cernita e smaltimento dei rifiuti.

È ancora Ispra nel suo secondo “Rapporto sui rifiuti urbani” pubblicato nel dicembre 2021, a sottolineare che nel 2020 sono state differenziate 143,3mila tonnellate di rifiuti tessili urbani (nel 2019 erano state 157,7mila tonnellate), pari a circa lo 0,8% del totale della raccolta differenziata (per fare un paragone, la plastica è pari all’8,6% e il vetro al 12,2%). “Se guardiamo alla raccolta in Italia, possiamo dire che non siamo indietro rispetto agli altri Paesi europei. Ogni Comune la effettua secondo le sue modalità che possono essere, per esempio, i cassonetti in strada o le campane. Questo è un buon punto di partenza per i nuovi obblighi previsti dall’Ue che possono rappresentare per noi un’opportunità”, spiega Valeria Frittelloni, direttrice del Centro nazionale dei rifiuti e dell’economia circolare di Ispra. “Tuttavia ci sono aspetti da migliorare. Un primo passo da compiere è incrementare i punti in cui conferire i rifiuti per facilitare i cittadini. Bisogna aumentare quanto raccogliamo, diminuendo la parte che finisce nell’indifferenziato”.
Di fronte alle difficoltà dettate dall’assenza di un sistema di responsabilità estesa del produttore che indicherebbe precisi obblighi sul ritiro e riciclo dei beni, qualcuno ha già invocato una proroga, quantomeno parziale, prevedendo una limitazione, nella fase iniziale, ai soli abiti usati, in attesa che l’Europa definisca la propria strategia sull’economia circolare nel tessile.
Qualcuno ha già ammonito di fare attenzione che i costi non ricadano due volte sui cittadini: prima come consumatori poi in veste di “inquinatori”, chiamati a pagare una tassa sullo smaltimento dei rifiuti prodotti. In più bisognerà scongiurare anche il possibile pericolo che qualche produttore possa approffittarne, facendo propria la somma pagata dal consumatore per lo smaltimento senza garantirne uno realmente rispettoso della normativa e dell’ambiente. L’esempio da seguire per fortuna esiste, basterà rifarsi alle esperienze già operative da anni nel settore degli imballaggi.
Insomma il nuovo decreto, per quanto benvenuto, lascia più di una questione aperta.
La strada migliore sembra comunque essere il riciclo, come sottolinea il rapporto Global Fashion Agenda, “Scaling circularity”, secondo cui investire nelle tecnologie per il riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali tessili, pre e post consumo ed il 75% di quanto riciclato rimarrebbe nel sistema tessile mentre un 5% interesserebbe altri settori industriali.
Del resto quella del riciclo è la strada maestra già indicata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che prevede lo stanziamento 150 milioni per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi a cui si aggiunge una parte del miliardo e mezzo destinato alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo.