L’inquinamento dell’aria a Milano raggiunge sempre nuovi picchi, ma l’amministrazione comunale risponde riproponendo soluzioni rivelatesi insufficienti anche in passato. Come ogni inverno, anche quest’anno è arrivato l’annuncio pomposo: imponiamo ai negozi di chiudere le porte (qui quello dello scorso anno). L’ obiettivo è quello di “incentivare il risparmio energetico evitando sprechi e riducendo le emissioni inquinanti”, ha spiegato l’assessora all’Ambiente, Elena Grandi. Ma ha atteso che passasse il Natale, perché la precedenza è comunque da assegnare agli affari. Sebbene siamo a circa 20 giorni di sforamento dei limiti massimi di PM10, Palazzo Marino non ha avuto fretta. Tra l’altro, se si trattasse di una scelta seria, sarebbe definitiva: da applicare sia in inverno che d’estate, quando gli energivori condizionatori dei negozi – spesso impostanti su temperature siberiane – lavorano a porte spalancate. Invece solo adesso, che i riscaldamenti, l’assenza di vento, la nebbia, i picchi di traffico aumentato del 20% rispetto all’era pre-Covid, hanno fatto scattare (da quasi due mesi) l’allerta smog, arriva una timida risposta. In generale, dal 20 novembre al 26 dicembre, le polveri sottili nella centralina dell’Arpa di via Senato, nel cuore di Milano, hanno superato per 20 giornate i 50 mg/mc con un susseguirsi di giorni malsani dal 3 al 7 dicembre. Poi, un’ulteriore impennata dal 12 al 19 con picchi di 92 e 98 mg/mc.
Ma già il 28 ottobre scorso Legambiente denunciava che Milano aveva già sforato i fatidici 35 giorni all’anno, concessi dalla normativa europea, oltre il limite di concentrazione delle polveri sottili. Nel resto della Lombardia, purtroppo, non va meglio: a Cremona i giorni di aria avvelenata erano già 49 a fine ottobre, a Lodi e Brescia 42, a Mantova 41 e a Pavia 39: l’area con la maggior concentrazioni di allevamenti intensivi in Europa. Il Regolamento per la Qualità dell’Aria era stato approvato dal Consiglio comunale il 19 novembre 2020, ma la sua applicazione – guarda un po’ a seguito dell’intervento della Confcommercio milanese, che lo rivendica qui – è stata poi rimandata, ufficialmente per colpa dell’emergenza Covid. Quindi è solo dal 1° gennaio 2022 che a Milano sarà obbligatorio chiudere le porte di negozi, pubblici esercizi ed edifici aperti al pubblico “nei quali sia attivo un impianto di climatizzazione invernale o estiva”. Ma chissà se la normativa arriverà veramente a coprire l’estate. L’ultimo tentativo simile, nel 2007, si era spento sempre sotto le pressioni dei commercianti che, come per le piste ciclabili, temono che ogni cambiamento possa compromettere i loro affari: come se entrare in un negozio aprendone la porta fosse un’esperienza straordinaria per le persone. Naturalmente poi ci sono le deroghe. Ne è prevista una per gli esercizi commerciali che fanno uso delle cosiddette lame d’aria (che naturalmente non impediscono all’aria fredda di entrare, ma semplicemente la rallentano, e inoltre sono di per sé energivore) oppure per quei negozi che sono dotati di dispositivi d’ingresso che limitano la dispersione di calore, come, ad esempio, le porte a bussola. Trascurabili le caratteristiche tecniche che devono avere le lame d’aria: chi dovrebbe controllare tali sofismi? Comunque: “il flusso d’aria non dev’essere riscaldato tramite resistenza elettrica, la larghezza della barriera d’aria non dev’essere inferiore alla larghezza dell’apertura dell’esercizio commerciale verso l’esterno; devono essere progettate per garantire una velocità di flusso d’aria al suolo non inferiore a 2 m/s”. Nel caso di lame d’aria già installate alla data di entrata in vigore del Regolamento, ma non conformi a queste caratteristiche, altra deroga sulle tempistiche: l’adeguamento dev’essere fatto entro il 1° giugno 2022. Infine, non è imposta la chiusura delle porte agli esercizi commerciali che affacciano su spazi comuni al chiuso e climatizzati, come ad esempio nei centri commerciali.