Cresce sicura di sé la slow fashion domestica, fatta soprattutto da donne – sarte, textile designer e stiliste – che si sono messe in proprio partendo da un angolo di casa propria, sono cresciute grazie ai social e al passaparola di quartiere, per offrire un abbigliamento di qualità, spesso a chilometro zero, fatto di tessuti naturali, cotoni certificati e creatività, contro quell’usa e getta che crea drammi ambientali come quello cileno, svelato di recente da France Presse. Per queste artigiane, al contrario, qualità e durevolezza sono il punto di partenza, che si unisce a un amore per il proprio lavoro che non passa inosservato nel prodotto finale.
“IMimmi è il nome del marchio di abbigliamento che ho creato due anni fa – racconta Tiziana Roccella, siciliana, un passato in Dolce&Gabbana prima della svolta -. Ogni collezione racconta una storia, che nasce da un innamoramento per un soggetto, un tema o semplicemente da un’immagine che mi colpisce e fa galoppare la mia fantasia. Spesso la fonte di ispirazione è la natura. Basta guardala: è già tutto lì, nei disegni delle foglie e nei colori degli animali”.
Tutte puntano su uno stile facile, versatile, comodo e mai banale. “Un armadio senza stagioni è la mia proposta: fatto di prodotti che si adattino a tutte le situazioni, creati in pochi pezzi per ciascuna variante. Questo significa avere un oggetto unico e di ottima qualità da indossare e soprattutto avere consapevolezza di cosa si sta acquistando”, continua Roccella.
Dopo aver disegnato lei stessa i suoi fantastici pattern, IMimmi si stampano nel distretto comasco, a pochi km dalla sede, in una stamperia storica celebre per l’altissima qualità. Si utilizza anche cotone con la più alta certificazione di sostenibilità – GOTS, Global Organic Textile Standard – che attesta il contenuto di fibre naturali da agricoltura biologica dei prodotti sia intermedi che finiti, la tracciabilità lungo l’intero processo produttivo, le restrizioni nell’uso dei prodotti chimici e il rispetto di criteri ambientali e sociali in tutte le fasi della filiera, dalla raccolta in campo delle fibre naturali alle successive fasi manifatturiere, fino all’etichettatura del prodotto finito.
Dopo due soli anni, IMimmi ha fatto il botto, e da una stanza di casa, il suo stile consapevole “è arrivato in Rai, con l’attrice Valentina Cenni, passando per Cristiana Buonamano di Skysport”, racconta con un sorriso Tiziana.
Doublestitched è la sartoria di Marta Crofts, sarta & designer, che si presenta così su Instagram: “Creo vestiti e trasformo le rimanenze di tessuto. Zerowaste come filosofia”. Crea lunghe gonne di lana, romantiche e very british, comodi pantaloni e cappotti, anche per bambini. Da scampoli e rimanenze cuce nastri per capelli, elastici colorati, ma anche costumi o copri-pannolini. Sui social Marta pubblica i dati sulle emissioni che possiamo risparmiare estendendo la vita dei nostri capi d’abbigliamento – in fondo anche contro il suo in-teresse – e quindi spiega come lavare e prendersi cura dei diversi capi per allungarne la vita. Pubblica video su come farsi l’orlo e riparare piccoli guai, e trucchetti per far durare oltre l’età indicata la maglietta dei bambini. Dà suggerimenti sui migliori detergenti (i più ecologici sono anche i più attenti alle fibre) e spiega come togliere e mettere un abito senza danneggiarlo.
Lemì sfrutta la bellissima terrazza della sua ideatrice per ospitare, su appuntamento, amiche e vicine di casa di Anna Bernasconi, giovane sarta e stilista per passione. Pezzi allegri e colorati, comodissimi e adatti – anche qui – un po’ a tutte le corporature. Anche questo si nota nelle sartorie della porta accanto: nessun obbligo di una fisicità asciutta, nessuna austerità, nessuno modello di bellezza calato dall’alto. Nel presentare giacche e gonne, la tendenza delle nuove sarte è fotografare sé stesse, o una qualsiasi tra le clienti: e l’effetto wow è forse ancora più coinvolgente, perché l’immedesimazione è perfetta. “Ho iniziato a cucire per inclinazione personale – prima facevo la giornalista -. Strada facendo ho scoperto la soddisfazione, anche se si tratta solo di abbigliamento, di far felici tante persone che faticavano a trovare vestiti adatti al loro corpo”, spiega Anna, che taglia e cuce anche su misura.
Stessa strategia per Emily, designer di Dado, marchio livornese di “sartoria digitale”. Emily cerca i tessuti più pregiati e originali, e cura il dettaglio sartoriale per creare quel “miracolo che si manifesta prendendo solo due misure. I tessuti che proponiamo non sono mai in grande quantità, perché riteniamo che il pregio di un capo su misura oggi debba avvalersi anche di una certa esclusività. Per cui le collezioni cambiano spesso e non sono mai distribuite in grandi numeri. Il nostro intento è quello di garantirvi lo spettacolo d’arte d’indossare capi unici e a tiratura limitata”.
“Metti in circolo il tuo amore” è il motto della Sartoria sociale targata Palermo, che riceve tessuti e vestiti usati da privati e aziende, li controlla e li igienizza, e seleziona ciò che può riutilizzare. Se sono capi finiti, li dona a enti o associazioni. Invece “con i tessuti di riciclo creiamo oggetti nuovi e organizziamo workshop per promuovere la cultura del riuso”. Il che include produrre abiti ex novo, o ripararli, per poi metterli in vendita. “Con i proventi retribuiamo gli operatori, aiutiamo persone in difficoltà e organizziamo eventi sulla moda sostenibile”. Tra le realtà più grandi ma sempre ben radicate nel movimento del recupero o della sostenibilità, segnaliamo anche la pistoiese Rifò (ovvero Rifaccio) che ricicla i vecchi maglioni in lana (pagandoteli) per crearne di nuovi e morbidissimi; o Rewoolution, che punta a infrangere il luogo comune che l’abbigliamento tecnico-sportivo debba essere sintetico. I loro capi – eternamente belli – sono composti di lana merino ad alta sostenibilità, nascono per l’outdoor ma sono perfetti anche per la città (comprese le scarpe).