“Le politiche per ridurre l’inquinamento atmosferico hanno portato a un miglioramento della qualità dell’aria in Europa negli ultimi tre decenni”, scrive l’Agenzia europea per l’Ambiente (Aea) commentando il suo ultimo rapporto. “Tuttavia, in alcune città l’inquinamento dell’aria presenta ancora rischi per la salute”. Al primo posto tra quelle città ci sono le città italiane, e al primo posto in Italia c’è sempre lei: la Pianura Padana, la zona che concentra le peggiori caratteristiche di dispersione degli inquinanti, ma che non rinuncia ad accentrare industrie e allevamenti intensivi, scontando già le conseguenze di una densità abitativa senza pari nel Paese. I dati del Rapporto 2021 si riferiscono al 2019. Si nota immediatamente, a colpo d’occhio, quale sia la zona (pallini rossi) dove è più pericoloso vivere dal punto di vista sanitario:
A questo link è possibile utilizzare il visualizzatore dell’aria di ogni città europea monitorata, per verificare la qualità dell’aria e il progresso (o il mancato progresso) negli ultimi due anni, e confrontarla poi con la qualità dell’aria di altre città d’Europa.
La classifica delle città va dalla più pulita alla più inquinata, sulla base dei livelli medi di particolato fine, o PM2,5, negli ultimi due anni solari. “Si tratta dell’inquinante atmosferico con il maggiore impatto sulla salute in termini di morte prematura e malattie”, precisa l’Ente. “Questo strumento è focalizzato sulla qualità dell’aria a lungo termine, perché è proprio l’esposizione a lungo termine a causare gravi effetti sulla salute”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito il limite massimo consentito per l’esposizione a lungo termine al particolato fine di 10 5μg/m3. L’Unione Europea, che deve tener conto delle politiche attuative per raggiungere quel non facile obiettivo, molto più blandamente ha fissato quel valore a 25 μg/m3.
I pallini colorati rappresentano, in verde, il livello buono che è al di sotto del valore guida annuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di 10 μg/m3. Moderato, in giallo, per livelli da 10 a meno di 15 μg/m3; scarso, arancione, per livelli da 15 a meno di 25 μg/m3; e molto scarso – rosso, il colore del Nord Italia – per livelli pari e superiori al valore limite dell’Unione europea di 25 μg/m3. Da notare i tanti punti verdi che ha guadagnato la Francia, da anni a capo di una rivoluzione verde che contrasta, soprattutto, l’utilizzo dei mezzi a motore privati.

“In Europa, beneficiamo della rete di monitoraggio della qualità dell’aria più completa al mondo. Qui presentiamo i livelli di particolato fine in oltre 300 città di tutti i paesi membri del SEE. I dati provengono da misurazioni a terra del particolato fine, effettuate da oltre 400 stazioni di monitoraggio”, ha precisato l’Agenzia.
Secondo il Rapporto 2021, il nostro Paese è il primo per numero di morti anche per biossido di azoto (NO2, 10.640 morti, +2% rispetto ai dati del Rapporto Aea 2020), ed è il secondo – dopo la Germania – per i rischi da particolato fine PM2,5 (49.900 morti, -4%) e ozono (O3, 3170 morti, +5% sul 2018).
Nell’Ue a 27, nel 2019 circa 307.000 persone sono morte prematuramente a causa dell’esposizione a PM2,5; 40.400 per l’NO2 e 16.800 a causa dell’esposizione all’ozono. Se il dato è altissimo, la buona notizia è che è diminuito del 16% rispetto al 2018 e del 33% con riferimento al 2005.
“Ma, se tutti gli Stati membri avessero raggiunto il parametro OMS per il PM2,5 (5 µg/m3), almeno il 58% dei decessi si sarebbe potuto evitare”, ha spiegato la Aea. Rispettando i limiti imposti, l’Italia avrebbe 32.200 decessi in meno da PM2,5.