Uno studio recentemente pubblicato da Greenpeace Italia, intitolato “Quanto costa all’Italia la crisi climatica?”, stima che tra il 2013 e il 2019 i danni causati da eventi meteorologici estremi siano costati al nostro Paese oltre 20 miliardi di euro.
L’analisi si concentra esclusivamente sulle emergenze per rischio meteo-idrogeologico, gli unici eventi avvenuti sul territorio italiano di cui sia possibile ricostruire in modo completo il flusso di denaro. Infatti, a differenza di quanto avviene a seguito di disastri provocati da incendi e siccità, a seguito dello stato di emergenza susseguente a frane e alluvioni, vengono fatte delle stime precise e stanziati dei fondi pubblici per ripristinare i danni.
Dall’analisi di tali dati emerge che negli ultimi 7 anni gli eventi estremi causati da alluvioni e frane sono costati esattamente 20,3 miliardi di euro, una media di 3 miliardi l’anno. Se a questa cifra si sommano i 561 milioni di euro che dal 2013 al 2019 l’Italia ha chiesto al Fondo di solidarietà europeo solo per eventi idro, si arriva a un totale complessivo di quasi 2,4 miliardi di euro spesi in sette anni, solo per risarcire i danni territoriali conseguenti a frane e alluvioni.
Daniele Spizzichino, ingegnere del Dipartimento per il servizio geologico dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), precisa che quasi il 91%dei comuni presenti sul territorio italiano è a rischio frane o alluvioni.
In particolare, dallo studio emerge che la regione più colpita nel periodo preso in esame è stata l’Emilia-Romagna (2,4 miliardi di euro di danni), seguita in ordine da Campania, Toscana, Abruzzo e Liguria.
Perché l’Italia è un territorio così a rischio?
La risposta è da ricercare in 3 ordini di ragioni: territoriali, climatiche ed economiche. Dal punto di vista territoriale, l’Italia, con il suo suolo prevalentemente montano-collinare, è un Paese morfologicamente fragile e predisposto a frane e alluvioni. Alla sfavorevole conformazione fisica si aggiungono, poi, gli effetti dei cambiamenti climatici, che provocano un incremento degli eventi meteorologici estremi più difficili da prevedere e con effetti altamente distruttivi, come piene improvvise o cadute di fango e detriti.
Inoltre, come evidenzia Spizzichino, a partire dal secondo dopo guerra “abbiamo costruito dove non si sarebbe dovuto, portandoci a una media di consumo di suolo ben più alta di quella europea”.
L’analisi condotta da Greenpeace ricorda che negli ultimi 50 anni (1970-2019) frane e inondazioni hanno causato 1.670 morti, 60 dispersi, 1.935 feriti e più di 320 mila evacuati e senzatetto. Eventi, quindi, non inediti. Eppure, riescono sempre a coglierci di sorpresa, come se ogni volta fosse la prima. Ma prevenire non era meglio che curare? A quanto pare non in Italia. Infatti, come si legge nella ricerca: “La prova è nelle cifre investite in prevenzione: a fronte di una stima del danno per alluvioni e frane di circa 20,3 miliardi, l’Italia ha investito solo 2,4 miliardi per il risarcimento delle regioni colpite da questi eventi estremi, e altrettanti sono stati stanziati per la prevenzione. Nel dettaglio, dal 2013 al 2019 i fondi spesi in prevenzione sono stati 2,1 miliardi , un decimo dei danni fatti dagli stessi fenomeni estremi in Italia nello stesso arco di tempo”.
Poco si investe nella prevenzione, ma anche nelle cure.
Secondo lo studio nessuna regione italiana è stata risarcita per oltre il 13% dei danni stimati e il 75% non arriva alla doppia cifra percentuale. “Vi sono poi regioni – del centro-sud Italia – in cui la spesa non arriva a coprire il 5% dei danni, come Molise, Campania, Puglia, Abruzzo, Marche. In sintesi, lo Stato tramite la Protezione Civile riesce a contribuire a percentuali irrisorie rispetto alle richieste dei territori colpiti da allagamenti e frane.” Greenpeace mette in evidenza la grave insufficienza dei fondi stanziati a livello nazionale, confrontando questi ultimi con il prezzo dei i danni provocati alle regioni e ricorda che, in un’intervista rilasciata all’associazione nel mese di febbraio, la Regione Liguria fa presente che se, a seguito della dichiarazione di emergenza, lo stato non riesce a intervenire in modo economicamente adeguato, è improbabile che lo faccia la regione, che non ha nè giuste competenze, nè capacità di spesa.
E il problema è che, come fa notare Rita Nicolini, direttrice ad interim dell’Agenzia regionale per la sicurezza territoriale e la Protezione Civile dell’Emilia-Romagna, quando lo Stato non è in grado di stanziare i fondi per ripristinare i danni, “non è detto che gli interventi siano realizzati”. Laddove lo Stato non interviene, restano le macerie.
Federico Spadini della campagna Clima di Greenpeace Italia spiega l’urgenza di “agire alla radice del problema, riducendo rapidamente fino ad azzerare le emissioni di gas serra, per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi” e conclude osservando che si tratta di “una strada che questo governo, nonostante gli annunci, non sembra aver intrapreso”.