Prima di tutto, qualche numero.
– Il 60% dei 690 milioni di persone che soffrono la fame sono donne e ragazze.
– 150 milioni: le persone in meno che, nel mondo, soffrirebbero la fame e la povertà. se le agricoltrici avessero uguale accesso degli uomini agli strumenti e alle risorse.
– 52,5 milioni: le donne e le ragazze che il WFP assiste ogni anno, si tratta di più della metà di tutte le persone che ricevono la nostra assistenza.
– 14,4 milioni: le donne che hanno ricevuto contante dal WFP nel 2019.

Le donne rappresentano un po’ più della maggioranza della popolazione mondiale ma ancora vivono disuguaglianze di base nell’accesso alle risorse e all’istruzione in ogni angolo di mondo. A livello globale, è più probabile che sia una donna, e non un uomo, a soffrire fame e insicurezza alimentare. Un paradosso doloroso e nefasto, perché sono proprio le donne, invece, a rappresentare la soluzione quando ci si chiede come fare per porre fine alla fame. Sono le donne a produrre tra il 60 e l’80 per cento del cibo in molti paesi in via di sviluppo. La metà di tutto il cibo sul pianeta si deve al lavoro delle donne. È anche per questo che l’uguaglianza di genere deve essere promossa e sostenuta con forza e determinazione. Fame Zero sarà irraggiungibile senza uno scatto deciso in questa direzione. Il WFP fa la sua parte, supportando le politiche di genere, promuovendo corrette interpretazioni dei ruoli e la partecipazione egualitaria delle donne nei processi decisionali a diversi livelli: familiari, comunitari e come partecipanti ai comitati di gestione delle nostre attività. Senza paura di sfidare antiche norme sociali, nel solco di un movimento che vuole cambiare e migliorare le vite a partire dal mondo femminile. È ormai chiaro a tutti quanto il Covid-19 abbia avuto un impatto più pesante sulle donne e sulle ragazze: un motivo di più per accelerare nel rettificare le disuguaglianze e costruire comunità resilienti dove le donne e le ragazze siano al centro della ripresa e non alle sue periferie.

Diventa quindi ancora più significativo puntare su, per esempio, i programmi di alimentazione scolastica. È, infatti, nell’istruzione che si decide il futuro di una persona, e questo è doppiamente vero per le bambine, le prime ad essere ritirate da scuola in caso di necessità familiare e le ultime a tornarvi. I pasti a scuola aumentano la frequenza delle bambine e delle ragazze, forniscono loro un maggiore accesso all’istruzione e riducono il rischio di matrimoni precoci e altre forme di violenza di genere.

In molti paesi, come in Nepal, le infanzie di un bambino e di una bambina scorrono su binari paralleli ma diversi: i bambini mangiano per primi e in quantità maggiore delle loro sorelle, fanno meno lavori domestici e si sposano più tardi. Un pasto a scuola può, inoltre, servire a convincere i genitori a mandare le figlie a scuola, una bocca in meno da sfamare in famiglie povere è, di fatto, un grande aiuto. Lavorare per un mondo con donne e ragazze istruite, che abbiano pari accesso a risorse, servizi, opportunità economiche e decisionali significa non solo rispettare e promuovere i diritti delle donne ma anche fare un passo gigantesco verso la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione. In entrambi i casi, a win-win solution, si direbbe in inglese. Traduzione: ci guadagniamo tutti.