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in CSR/Climate
12/02/2021

La nuova Isola delle Rose sarà danese e sarà il regno dell’eolico

Via: di Giacomo Cavalli

Photo by Grahame Jenkins on Unsplash

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La storia singolare dell’Isola delle Rose (o Insulo de la Rozoj, in esperanto, lingua “ufficiale” dell’Isola), episodio controverso della nostra storia nazionale, è tornata prepotentemente alla ribalta grazie ad un recente film, girato da Sydney Sibilia e distribuito da Netflix.
Un’idea rivoluzionaria, quella del suo fondatore, l’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, pensata probabilmente per scopi meno romantici di quelli raccontati nella pellicola interpretata da Elio Germano, e terminata, nel febbraio del 1969, con l’occupazione e la distruzione da parte delle autorità italiane, le quali non erano esattamente d’accordo con la visione proposta dal suo fondatore e consideravano la piattaforma-isola un pericoloso precedente.
Oggi, una nuova piattaforma sta per sorgere in mezzo al mare e la sua conformazione, oltre che la sua storia e i suoi obiettivi, seppur siano per certi aspetti assai differenti, richiamano la vicenda romagnola. Sorgerà al largo della Danimarca occidentale, a circa 80 km dalla costa dello Jutland, una piattaforma artificiale di 120.000 metri quadrati il cui obiettivo sarà quello di raccogliere e distribuire l’energia prodotta da impianti eolici off-shore. Il progetto prevede che l’isola parta con una capacità di 3 gigawatt, sufficiente al fabbisogno elettrico di 3 milioni di famiglie, con l’obiettivo di arrivare fino a 10 gigawatt complessivi. La Danimarca, paese con circa 6 milioni di abitanti, con tale attività non vuole quindi solamente coprire completamente le proprie necessità elettriche bensì punta a dare un contributo diretto a livello europeo. L’isola è una innovazione capace di connettere i diversi parchi eolici sfruttando il lavoro di centinaia di turbine eoliche contemporaneamente e distribuendo l’energia ai paesi vicini. Quest’isola, di cui è ancora incerta la data di inizio lavori e che avrà un’isola sorella nel Mar Baltico, rientra nella strategia molto ambiziosa di Copenaghen le cui tappe prevedono meno 70% emissioni rispetto al 1990 al 2030, stop all’estrazione di petrolio e neutralità climatica al 2050.
Se è vero che la Danimarca non dichiarerà mai guerra all’isola, come fece l’Italia nel 1968 con l’Isola delle rose, sicuramente tale innovazione non sarà vista in tutto il mondo con lo stesso entusiasmo. Difatti, parliamo di un progetto (anche) dal forte valore geopolitico, per sé stesso e per la tipologia di innovazione, potenzialmente replicabile. Attualmente, la produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa si aggira intorno al 20% (dati Eurostat segnalano per il 2019 un 19,7% per la quota di energia consumata con provenienza da fonti rinnovabili, in linea con l’obiettivo del 20% al 2020), con la componente eolica a pesare per 13% circa del totale. Innovazioni di questo tipo possono dare una forte accelerata nel momento in cui il target comunitario 2030 per le rinnovabili è del 32% (e 40% riduzione emissioni), con prospettiva di neutralità climatica al 2050.

Tuttavia, l’aumento di produzione energetica a livello interno avrà forti ripercussioni nelle nostre relazioni internazionali essendo che, al 2018, l’Europa importava circa il 55% dell’energia che consumava. La principale fonte di energia importata è rappresentata dal petrolio ed i suoi derivati (oltre i due terzi, con il petrolio grezzo principale prodotto), seguito dal gas (circa un quinto delle importazioni) ed altri combustibili fossili solidi (circa 8%). La Russia, in tale torta, ha la fetta più grossa di tutte: è il nostro maggiore fornitore di petrolio (30%), gas (40%) e combustibili fossili solidi (42%). La dipendenza europea si articola poi in maniera minore verso i paesi del golfo (soprattutto per quanto concerne il petrolio) la Norvegia (petrolio e gas) e gli Stati Uniti (combustibili fossili solidi) ma è evidente che l’aumento di produzione interna di energia pone una questione importante nelle relazioni con alcuni nostri (assai controversi) partner commerciali. Andare dunque verso una indipendenza energetica, aumentando la quota di rinnovabili, sembrerebbe una vittoria su tutti i fronti per l’Unione Europea, ma essa deve necessariamente essere inquadrata in un contesto, appunto, europeo, tenendo a mente che Bruxelles ha sempre utilizzato il commercio internazionale come leva per la promozione dei diritti e lo sviluppo dei nostri partner all’estero.
Si prenda ad esempio il North Stream 2, il gasdotto attualmente in costruzione tra Russia e Germania e che vede Gazprom, la principale azienda russa di settore, con un ruolo di primo livello all’interno del progetto. È stato più volte al centro di polemiche, criticato da parte di USA e Ucraina per interessi diversi (l’Ucraina viene completamente bypassata da questo gasdotto con una perdita di circa 1,5 miliardi di euro l’anno di “pedaggi di transito” che oggi riceve dai tubi russi diretti in UE) ma anche dai paesi europei, non tra ultima la Francia che, sull’onda del caso Navalny, ha esplicitamente chiesto alla Germania di interrompere il progetto. Questo stesso gasdotto è un progetto geopolitico, seppur controverso, che va compreso anche tenendo tenere conto che la Germania, principale manifattura d’Europa, è in piena fase di transizione energetica (dal 2022 tutte le sue centrali nucleari dovrebbero cessare attività). Inoltre, questo progetto è stato immaginato proprio per ridurre le emissioni di CO2, puntando sul risparmio di emissioni che deriva dalla produzione di elettricità da gas piuttosto che da fonti fossili (50% circa lo scarto tra le due fonti).

Quindi, seppur non dovendosi guardare dai sommozzatori italiani, anche questa isola rappresenta, per certi soggetti, un precedente “pericoloso”, e come tale va inquadrato in un contesto ampio per favorire la nascita, e possibilmente duplicazione, di innovazioni analoghe considerando molteplici fattori. La politica energetica è una materia complessa, progettata sul lungo periodo tenendo conto di svariati aspetti, sviluppata necessariamente in maniera integrata, includendo nel ragionamento tutta una serie di strategie e politiche direttamente o indirettamente connesse ad essa. In un mondo multipolare, l’unico modo per avere una strategia energetica capace di raggiungere risultati adeguati sotto il punto di vista ambientale, efficace in un percorso di approvvigionamento uniforme attraverso reti adeguate, capace di diversificare e rafforzare l’indipendenza, forte di fronte a pressioni esterne, di ogni tipo, e influente a livello di soft power per politiche di decarbonizzazione (molti sono i paesi che dovranno riconvertirsi, siano essi produttori o consumatori di idrocarburi) è sviluppando una solida politica energetica europea.

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