Joseph Robinette Biden Jr. è ufficialmente il 46° Presidente degli Stati Uniti d’America. La sua presidenza è partita ieri, 20 gennaio, in una Washington pervasa da un clima surreale, tra misure contro la pandemia e soprattutto restrizioni a livello di sicurezza a seguito degli scontri presso Capitol Hill dello scorso 6 gennaio. Finisce quindi l’era Trump e subito, come promesso e come atteso dalla comunità internazionale, il neo insediato Presidente ha voluto dare un segnale di svolta, firmando degli ordini esecutivi su materie sensibili, a livello nazionale come internazionale. Tra tutti, l’atteso passo formale per il rientro degli Stati Uniti, secondo emettitore di gas serra a livello globale, all’interno degli Accordi di Parigi. L’azione ha suscito un unanime coro di approvazione tra i leader mondiali, trasmessi in particolar modo proprio attraverso quegli stessi canali social, soprattutto Twitter, così tanto ostaggio di dichiarazioni d’incitamento all’odio da portare gli stessi proprietari delle piattaforme a prendere, solo di recente, provvedimenti estremi.
President @JoeBiden rejoining the Paris Agreement is hugely positive news. In the year we host @COP26 in Glasgow, I look forward to working with our US partners to do all we can to safeguard our planet.
— Boris Johnson (@BorisJohnson) January 21, 2021
Tra i primi a congratularsi, il Premier britannico Boris Johnson, che punta anche alla presenza degli USA per il raggiungimento di un accordo ambizioso in seno alla prossima COP26, ospitata proprio a Glasgow il prossimo mese di novembre, e l’Unione Europea, attraverso una dichiarazione congiunta del Vice Presidente della Commissione Frans Timmermans e dell’Alto Rappresentante per la politica estera Josep Borrell, in cui si tende la mano agli alleati atlantici in quella che si profila come una vera e propria battaglia diplomatica a livello internazionale. Difatti, il tema sarà proprio il livello di ambizione che gli USA metteranno sul tavolo dei negoziati e l’impegno che la diplomazia americana, già protagonista proprio con l’allora Segretario di Stato John Kerry per il raggiungimento degli Accordi di Parigi, metterà a disposizione della comunità internazionale per far si che vengano presi impegni all’altezza delle aspettative.
Il tema principale sarà proprio giungere ad impegni il più possibile ambiziosi e condivisi. In particolar modo, sarà interessante vedere come si comporterà la Cina, tenendo conto che si tratta del primo emettitore di CO2 su scala internazionale. Pechino ha recentemente annunciato l’impegno di portare la propria economia ad emissioni zero entro il 2060 ma non ha ancora svelato i piani sul breve e medio termine, fondamentali proprio in ottica di COP26 dove gli stati firmatari dovranno presentare la revisione dei propri Nationally Determined Contributions (NDCs) al fine di mantenere l’innalzamento delle temperature entro 1,5°C.
Today, we begin anew. Tune in for #Inauguration2021. https://t.co/HxfU8q5riA
— Joe Biden (@JoeBiden) January 20, 2021
Biden in campagna elettorale ha promesso che porterà gli USA ad una economia ad emissioni zero al 2050, e che implementerà tutta una serie di riforme per trasformare tale transizione in un volano per l’economia statunitense, proprio come l’Unione Europea con il suo Green New Deal. Bruxelles ha sicuramente bisogno dell’appoggio di Washington per guidare tale processo, e per garantirsi più velocemente un successo interno sulla base delle sue iniziative. Ad esempio, a giugno la Commissione presenterà un quadro di tassazione di prodotti all’importazione legati alle emissioni di CO2. Tale riforma, che rientra anche nella strategia delle risorse proprie dell’UE, se da un lato sicuramente protegge l’industria domestica comunitaria da prodotti realizzati da economie competitive proprio grazie alla mancanza di regole stringenti a livello climatico, necessita di un appoggio esterno per funzionare completamente, e parrebbe che il nuovo Presidente USA sia sulla stessa linea di pensiero.
Un approccio condiviso in tal senso è sicuramente mirato ad obbligare determinati stati, vedi la Cina, a adottare misure più stringenti, e a farlo velocemente. Tuttavia, andrà considerato anche quanto spesso richiesto dai paesi in via di sviluppo, ossia un supporto economico mirato alla transizione. Gli USA, sotto l’amministrazione Obama, avevano promesso tre miliardi di dollari da consegnare alle Nazioni Unite per un fondo preposto a tale scopo. Al momento solo 1 miliardo è stato consegnato. Questo è un altro tavolo sul quale si gioca la partita.