La valutazione di prestazioni, basata su parametri o standard di riferimento, è requisito fondamentale in qualsiasi ambito per misurare performance e al tempo stesso stimolare al raggiungimento di obiettivi più ambiziosi. Tale concetto è applicabile anche alla sostenibilità, ed è stato fatto proprio dalla World Benchmarking Alliance, piattaforma multi-stakeholder internazionale costituita da oltre 180 enti provenienti da tutto il mondo, composta da rappresentanti del settore pubblico multilaterale, del settore privato, della società civile, del mondo accademico e scientifico. Il WBA nasce nel 2018 con lo scopo di supportare, e guidare, il settore privato nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile attraverso l’identificazione di benchmark di riferimento elaborati per classificare e valutare le aziende (la valutazione complessiva verterà su 2000 tra le più influenti aziende a livello globale), e rendendo i dati disponibili gratuitamente a chiunque. Tra i settori industriali presi in esame, non poteva certamente mancare l’agroalimentare, filiera in cui rischi e responsabilità, nell’ambito dello sviluppo sostenibile, sono estremamente interconnessi. Prima “vittima” dei cambiamenti climatici mentre ne è tra i principali contributori, è forse il settore dalle più grandi potenzialità, e non solo a livello climatico, per il raggiungimento di una completa sostenibilità, intesa in senso olistico a livello economico, sociale e ambientale. L’analisi appena pubblicata da WBA mette in evidenza l’andamento dell’agroalimentare in tal senso. Il Food and Agriculture Baseline Assessment, primo passo di un percorso più ampio che si sviluppa nei prossimi cinque anni, ha valutato l’impegno delle 350 imprese con maggiore influenza nel comparto (per un valore complessivo di circa 8,7 trilioni di dollari, più della metà del fatturato globale del settore), analizzando il loro ruolo in ottica di medio lungo periodo, da attori protagonisti della trasformazione del sistema di produzione di cibo a livello internazionale. La valutazione, basata su documentazione resa pubblica in modo volontario dalle aziende, struttura i suoi parametri su tre dimensioni interconnesse (ambiente, nutrizione e inclusione sociale) insistendo sulla necessità dello sviluppo di consapevolezza da parte delle aziende tanto in merito al loro ruolo e impatto, sia come singoli che come parte di catene di valore, quanto alle loro responsabilità, a livello particolare quanto universale.
Viktoria de Bourbon de Parme, Food Transformation Lead di WBA, ha illustrato ieri, nel corso di un webinar dedicato, la strategia e i prossimi step che porteranno l’Alleanza alla pubblicazione del primo benchmark di settore nella seconda metà del 2021, rendendo al contempo pubblici i primi risultati della valutazione con analisi dedicate alle singole imprese. Il quadro esposto è in assoluto poco soddisfacente, con 80 aziende senza alcun tipo di impegno pubblico nei tre topic di valutazione e soltanto 12 (Arla Foods, CNH Industrial, Danone, Heineken, McDonald’s, Nestlé, OCP, Orkla, PepsiCo, ThaiBev, Unilever, Yara) in linea con tutti gli obiettivi dell’analisi, consapevoli del loro ruolo e responsabilità a salvaguardia del pianeta e a supporto del benessere delle persone.
Nel dettaglio, male a livello di emissioni, solo 11% delle aziende hanno all’attivo obiettivi di riduzione (sia dirette che indirette, inclusa la catena di valore) mentre ben il 54% non ha target né report in merito. Per quanto concerne l’aspetto della nutrizione, esso sembrerebbe emergere come la sfida più complicata, con la catena di distribuzione protagonista in negativo: tra le aziende prese in esame, nessuna ha una strategia omnicomprensiva sul tema nutrizione, mentre il 51% ha condiviso soltanto alcuni obiettivi oggetto di analisi. Questo dato, nel contesto globale che si inquadra, a livello istituzionale, all’interno della UN Decade on Action on Nutrition (2016-2025), suona estremamente allarmante (numero di persone obese triplicato dal 1975, 650 milioni di adulti al 2016, dati WHO). Infine, sotto il punto di vista sociale, preoccupa il 40% di imprese senza impegni diretti, o pubblici, per contrastare il lavoro minorile o quello forzato. Parliamo del settore con il più alto numero di occupati a livello globale.
Durante l’evento di presentazione, moderato da Diane Holdorf, Managing Director of Food & Nature del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), a sottolineare l’importanza rivolta a livello internazionale dal lavoro del WBA, è intervenuta Agnes Kalibata, Inviata Speciale del Segretario Generale dell’ONU per il Food Systems Summit, evento che vedrà la convergenza di tutti gli attori della filiera in un contesto di trasformazione del settore agroalimentare mondiale. In tale ambito, la collaborazione sarà un elemento chiave per l’elaborazione di strategie realmente efficaci al raggiungimento di obiettivi sistemici. Un tema su cui si è soffermato anche Jim Andrew, Chief Sustainability Officer di PepsiCo, mentre Bas Rüter, Director of Sustainability di Rabobank, istituto bancario olandese storicamente attento al settore agroalimentare, ha illustrato la strategia della banca la quale, a livello di board, ha assunto l’obiettivo di migliorare la sostenibilità di ogni loro cliente. A dimostrazione della sempre maggiore attenzione della finanza alla sostenibilità come fattore di rischio, Rüter ha sottolineato l’importanza della valutazione per migliorare le performance annunciando la possibilità di utilizzo dei benchmark WBA in aggiunta al quadro normativo comunitario per quanto concerne i prestiti legati alle performance di sostenibilità.
L’Italia è rappresentata all’interno dell’analisi di valutazione da 9 aziende, 7 con il quartier generale nei confini nazionali, ossia Autogrill, Barilla, Conad, Gruppo Cremonini, Gruppo Veronesi, Perfetti Van Melle, SDF Group oltre a CNH Industrial (italo-americana) e Ferrero.
L’umanità ha mutato il proprio destino stanziandosi proprio per merito del cibo. Agricoltura e pastorizia hanno dato il via alle comunità, evolute in società, città, stati. Il complesso collettivo costituito, elemento chiave della nostra prosperità, ha visto nell’agroalimentare la prima industria, la prima cultura, il primo settore motore di popoli, il primo sviluppo economico. Non a caso, le civiltà hanno poi prosperato dove le condizioni climatiche erano migliori, ovvero dove la natura metteva loro a disposizione elementi, dalla terra all’acqua, dalle sementi agli ecosistemi, che permettano di prosperare.
Oggi, il settore agroalimentare ha una responsabilità proporzionalmente maggiore che in passato. Esso può e deve giocare un ruolo imprescindibile per il raggiungimento di una sostenibilità economica, sociale e ambientale, per costruire una società più resiliente e inclusiva, per mettere fine alla fame che oggi attanaglia 690 milioni di persone nel mondo, con ulteriori 270 milioni in possibile aggiunta come conseguenza della pandemia. A tal fine, le responsabilità sono condivise e gli approcci dovranno sempre di più vertere sulla collaborazione, ma è fondamentale alzare il livello di ambizione, e farlo velocemente. I protagonisti possono e devono essere le industrie di settore, ed iniziative come quelle portate avanti dal WBA sono estremamente preziose e lungimiranti perché mettono in moto un circolo virtuoso che vede diversi attori convergere verso l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e migliorare le performance, a beneficio sistemico.