Ai record, spesso si pensa in senso positivo. Molto spesso in termini sportivi, il record del tempo di un maratoneta nei suoi faticosi e nobili 42,195 km o quello dell’altezza dell’asticella per chi pratica il salto in alto. Record che ci stimolano a credere in un continuo miglioramento, fatto di fatica, certo, ma che porta anche grandi risultati, che fa fare passi avanti. Capita, però, che qualche record abbia un segno negativo. Che i passi siano indietro, che gli sforzi fatti non bastino o che arrivi il nuovo coronavirus a mandare il mondo in tilt. Il record negativo, in questo caso, è l’incredibile numero di persone che il WFP prevede di dover assistere nel 2020, un numero che deve far inquietare e riflettere: 138 milioni di persone. Ed è un record che segue quello del 2019, che già con 97 milioni di persone raggiunte – e senza il coronavirus a mietere vittime – aveva inequivocabilmente indicato quanto i conflitti, i cambiamenti climatici, gli squilibri socio-economici siano alla radice della sofferenza, dal punto di vista alimentare e nutrizionale, di milioni di persone.
“Le prime linee nella guerra contro il coronavirus si stanno spostando dal mondo ricco a quello povero”, ha detto recentemente David Beasley, Direttore Esecutivo del WFP. E sì, perché sono i paesi a basso e medio reddito a subire maggiormente il colpo devastante di una pandemia che minaccia di riavvolgere il nastro dei progressi globali nello sviluppo dei decenni passati. Se prima dell’arrivo del coronavirus erano 149 milioni le persone che soffrivano gravemente la fame (si parla di fame acuta), alla fine di questo anno potremmo averne fino a 270 milioni, secondo le recenti proiezioni del WFP perfezionate con verifiche e monitoraggio in tempo reale. Si tratta di aumento dell’82 per cento rispetto al periodo pre-Covid. In pochi mesi. Un altro record, e anche questo di certo non positivo. Beasley continua: ‘“Finché non si troverà un vaccino per il coronavirus, è il cibo il miglior vaccino contro il caos. Senza di esso, potremmo vedere un aumento di proteste e di disordini sociali, un aumento nelle migrazioni, un aggravamento dei conflitti e una denutrizione diffusa tra popolazioni che, precedentemente, erano immuni alla fame”.
Negli ultimi quattro anni, il numero di quanti soffrono di grave insicurezza alimentare nel mondo era già salito di quasi il 70 per cento, per il combinato disposto di cambiamenti climatici, conflitti e shock socio-economici. Il combinato disposto si arricchisce ora di una nuova entrata fino a qualche mese fa inimmaginabile, che esaspera le situazioni difficili e peggiora drammaticamente il fragile quadro generale.
Gli effetti della pandemia colpiscono con maggiore forza l’America latina, che ha visto quasi triplicare il numero di persone che hanno bisogno di assistenza alimentare, e si accaniscono soprattutto tra la popolazione urbana dei paesi a basso e medio reddito, spinti verso la miseria per la perdita di posti di lavoro e un precipitoso calo delle rimesse dall’estero – un meno 20 per cento, secondo la Banca Mondiale. Come se non bastasse, i contagi da coronavirus stanno aumentando proprio quando cominciano a scarseggiare le scorte alimentari in alcune parti del mondo. In più, tra poco avranno inizio le stagioni degli uragani e dei monsoni, mentre le invasioni record di locuste in Africa orientale e lo scoppio di conflitti prospettano uno scenario angosciante per chi soffre la fame nel mondo.
Il nuovo volto della fame richiede risposte speciali e specializzate, come l’uso di trasferimenti di contante e una forte attenzione agli ambiti urbani. Più della metà delle operazioni del WFP, infatti, saranno effettuate attraverso contanti e voucher: le comunità urbane potranno così acquistare cibo di cui hanno bisogno nei mercati locali, i quali beneficeranno a loro volta di uno stimolo finanziario. Perché il nastro dello sviluppo torni a srotolarsi puntando avanti, metro dopo metro, anno dopo anno, comunità dopo comunità.